Zoroastrismo. Daxma: Le torri del silenzio e il funerale col sacro cane
Le daxma sono le torri del silenzio per la religione zoroastriana. È un’antica religione monoteista in India, ormai in via di scomparsa. I fedeli rimasti sono circa 182.000. Sulle torri del silenzio i defunti sono lasciati in balìa degli uccelli rapaci, per non contaminare la terra. A Bombay (India) è possibile vederne cinque, alte otto metri, sulla Malabar Hill. A causa dell’urbanizzazione che ha ridotto i volatili, oggi i corpi sono trattati con dei reagenti chimici per affrettarne la decomposizione. I resti sono poi gettati nella fossa centrale e coperti di carbone e sabbia. I familiari del defunto non possono entrare nelle torri, riservate ai ministri del culto funebre.
Dato che la morte e la decomposizione sono viste come armi del male, un cadavere è visto tradizionalmente come il luogo dove lo spirito distruttivo Angra Mayniu e le sue forze sono potentemente presenti. Tutto ciò che riguarda la morte è contaminante, in particolare la salma di una persona retta, perché rappresenta una grande vittoria del male. Il defunto non può quindi essere sepolto cremato o disperso in mare perché ciascuno di questi elementi, terra, aria, acqua fa parte della creazione del dio Aura Mazda. Le daxma sono strutture circolari aperte alla sommità, alte circa dieci metri. Vi sono tre cerchi concentrici di spazi chiamati pavis. Gli uomini sono esposti nel cerchio esteriore, le donne in quello mediano e i bambini in quello centrale. Delle canaline fanno defluire i flussi corporei.
La carne dei cadaveri è stata divorata dagli avvoltoi in circa venti minuti. È normale dar da mangiare ai volatili coloro che si sono nutriti di loro quando erano vivi. Nei Paesi occidentali gli zoroastriani accettano le normali procedure di cremazione e rinunciano agli avvoltoi per i loro defunti. L’interesse è duplice. Preoccuparsi dell’anima del defunto e non inquinare la natura. Tradizionalmente il sacerdote zoroastriano è chiamato al più presto possibile dopo la morte. È sempre accompagnato dall’animale sacro zoroastriano, il cane. L’animale protegge la gente dalle forze minacciose ed è particolarmente sensibile a una presenza estranea e può quindi “vedere ritualmente” il cadavere. Il termine sagdid che designa la parte centrale della cerimonia funebre vuol dire proprio sguardo (did) del cane (sag).
La salma è poi lavata con il rito sachkar e poi vestita con un sudre (camicia sacra) e un krusti (corda sacra). Seguono delle preghiere. Il corpo è deposto per terra, ma non in un luogo poroso per non contaminarla, ed è tracciato con un chiodo un cerchio attorno alla salma. All’interno del cerchio possono entrare solo i becchini (nasarsala). Quando tutto è pronto per il funerale i nasarsala portano la salma su una portantina di ferro, seguiti dal sacerdote, dal cane e da coloro che seguono le esequie che procedono in doppia fila indiana (paiwand). Tutti sono legati gli uni agli altri da una corda per proteggersi dalle forze maligne associate alla morte.
Una specie di cordata funebre. Giunti davanti alla daxma la salma viene posta sul del marmo non poroso, il copro viene spogliato, i nasarsala appaludono e lasciano che della salma si occupino gli a avvoltoi. Il quarto giorno la cerimonia uthumna chiederà delle offerte in denaro che andranno in beneficienza in memora del dufunto, perché ricordarlo in questo modo è ritenuto meglio di qualsiasi tomba.
Giorgio Nadali