Golem: Come creare un essere automa con la Cabala ebraica

Il golem è nella cabala ebraica, un essere umano senza anima, prodotto dalla combinazione delle lettere dell’alfabeto ebraico.Si tratta di una figura della tradizione ebraica molto popolare nell’antica Boemia, ma anche nei film, da The Golem (1920) di Carl Boese e Paul Wegener, a Golem (1979) di Piotr Szulkin a Stranger than Fiction, di Marc Forster, con Dustin Hoffman (2006). In ebraico moderno la parola golem identifica una persona stupida.

kabala

La parola golem è presente nel Salmo 139,16 tradotta come “embrione”. I fondamenti di questa credenza mistica hanno origine dal Rabbi Eleazar di Worms (1165-1230) i cui scritti trattano in particolare del potere magico dei nomi. Vi sono 231 combinazioni di lettere dell’alfabeto ebraico. Il numero 231 è ricavato dalla moltiplicazione di ventidue parti del corpo umano per le prime undici lettere dell’alfabeto ebraico. Le prime undici lettere hanno un potere creativo. Le combinazioni con le ultime undici lettere hanno un potere distruttivo. Diverse culture presentano la convinzione di poter creare esseri antropomorfi mediante la magia. Nell’ebraismo non è utilizzata la magia, ma la potenza creativa delle lettere dell’alfabeto ebraico. Come sostiene Moshe Idel, la pratica della creazione del Golem costituisce un tentativo umano di conoscere Dio.

Il golem è dunque una creatura antropomorfica (homunculus magicus) cui è stata data la vita usando il nome di Dio. Golem significa in ebraico “materia senza forma”. La più antica narrazione di creazione di golem è legata al rabbino Eliyahu di Chelm (Polonia, 1674 d.C.), detto Baal-ha-shem (il padrone del nome). Nelle leggende medievali ebraiche il golem è creato con il potere della parola ebraica emet, che significa verità. I golem sono creati come servi obbedienti. Durante il Medioevo alcuni passi del libro più importante dell’esoterismo ebraico, risalente ad Abramo e detto Sefer Yetzirah (Libro della Creazione) furono studiati per ottenere il potere mistico di creare e animare un golem. Si credeva che il golem potesse essere attivato da un’esperienza estatica indotta dall’uso rituale di varie lettere dell’alfabeto ebraico. Il Sefer Yetzirah il libro che contiene le sefirot, i dieci modi dell’agire di Dio, è usato per creare il golem attraverso la combinazione di parole presenti in esso. Nel XVI secolo il rabbino Jehuda Löw ben Bezalel di Praga, cominciò a creare golem per sfruttarli come suoi servi, plasmandoli nell’argilla e risvegliandoli scrivendo sulla loro fronte la parola “verità” (in ebraico אמת – emet).

Ma i golem così creati crescevano sempre di più ed era impossibile servirsene. Il rabbino decideva talvolta di disfarsi dei golem più grandi, cambiando la parola sulla loro fronte in “morte” (in ebraico מת – met). Un giorno perse il controllo di un gigantesco golem, che cominciò a seminare distruzione. Jehuda Löw ben Bezalel smise allora di crearli e nascose quelli già creati nella genizah (ripostiglio sacro) della sinagoga Staronova, nel cuore del vecchio quartiere ebraico di Praga dove, secondo alcuni, si trovano tuttora. Nel 1883 la genizah fu rinnovata, ma non vi erano tracce di golem. Secondo altre fonti i golem sono stati rimossi e seppelliti nel distretto Žižkov della capitale ceca. Alcuni ebrei ultraortodossi credono che Maharal (il rabbino Yehudah ben Bezalel, XVI sec. d.C.) creò realmente un golem. Rabbi Menachem Mendel Schneerson (l’ultimo rabbino lubavitico) scrisse che il suo patrigno Rabbi Yosef Yitzchok Schneerson vide i resti di un golem nella genizah della sinagoga Staronova di Praga. Nel museo ebraico di Úštěk (Repubblica Ceca) si trova la statua di un golem accanto all’ingresso.

Giorgio Nadali


Benedetto XVI in Sinagoga

 

 

Di Giorgio Nadali

“In che modo accoglierà il Papa e cosa Lei si auspica dalla visita di Benedetto XVI alla Sinagoga maggiore di Roma?”  avevo chiesto al rabbino capo di Roma – Riccardo Di Segni – nel marzo 2009 nella mia intervista per Affari Italiani. “Sarà la prosecuzione di una strada di incontro”, rispose. E così è stato.Se il nostro è un percorso da fratelli dobbiamo interrogarci cosa dobbiamo fare ancora per migliorare questo percorso – ha ricordato il rabbino capo di Roma Riccardo di Segni durante l’incontro con Benedetto XVI nella sinagoga centrale di Roma. Di Segni ha osservato che in duemila anni gli ebrei romani hanno visto molti papi, ma solo con gli ultimi due vi è stato e vi è un rapporto davvero alla pari. Di Segni ha ricordato anche che gli ebrei romani dovevano esporre cartelloni e abbellire un tratto di strada (vicino all’arco di Tito, che ricordava la perdita della loro autonomia) dando il benvenuto al passaggio dei nuovi pontefici e che – prima del XVIII secolo – dovevano anche esporre il libro della Torah che il papa poteva anche dileggiare. Che grande differenza oggi. Il papa e il rabbino capo si incontrano in un rapporto alla pari, da fratelli. Un rapporto che cerca di costruire, invece di radicarsi su rancori e incomprensioni. Senza il Concilio Vaticano II non potrebbe esserci dialogo.

“Questo papa si comporta con grande rispetto e io ho fiducia in lui” – ha dichiarato il presidente israeliano Shimon Peres a Sky TG24.

La visita di Giovanni Paolo II il 13 aprile 1986 alla sinagoga di Roma è stato un primo passo di avvicinamento del Vaticano agli ebrei e attraverso questo allo Stato di Israele e il suo riconoscimento ufficiale, facendo crollare la diffidenza. Ma fu Papa Roncalli a dare il primo segnale “rivoluzionario” verso gli Ebrei prima ancora che il Concilio, già in marcia, varasse la Nostra Aetate. Scrive l’ex Rabbino capo di Roma, Elio Toaf, nella sua autobiografia: «Ricordo quando nel 1959 Giovanni XXIII fece fermare sul Lungotevere il corteo pontificio per benedire gli ebrei che, di sabato, uscivano dalla Sinagoga. Fu un gesto che gli valse l’entusiasmo di tutti i presenti che circondarono la sua vettura per applaudirlo e salutarlo. Era la prima volta che un Papa benediceva gli ebrei». Del resto fu proprio questo Papa a sopprimere I’espressione *Perfidi Giudei* nella liturgia del Venerdì Santo e a chiedere al cardinale Bea di preparare un testo sugli Ebrei da sottoporre al concilio». La visita di Benedetto XVI del 17 gennaio 2010 ha il significato della continuità.

Il segnale è “vogliamo continuare av avere buoni rapporti” per riflettere sulle reciproche responsabilità del mondo ebraico e del mondo cattolico rispetto alle urgenze del tempo presente. Il rabbino capo di Roma, Riccardo di Segni ha ricordato che la sinagoga di Roma non è il luogo per trattative diplomatiche, ma il luogo simbolico per ricordare la necessità di affrontare il problema da un punto di vista politico. La partecipazione dell’Islam è fondamentale. Tutti e tre, ebrei, cristiani e musulmani ci riconosciamo in una comune ascendenza spirituale. Ma a breve distanza di tempo dalla visita di Benedetto XVI alla sinagoga di Roma arriva l’annuncio del Vaticano sulla beatificazione di Pio XII… Il capo dei rabbini italiani – Giuseppe Laras – ha preferito non esserci. Il giudaismo italiano avrebbe dovuto secondo lui prendere una posizione dura contro la beatificazione di papa Pacelli, detto il “Pastore angelico”. Il 19 dicembre scorso è stato dichiarato “venerabile” sul cammino per la beatificazione. La controversia sul ruolo di Pio XII durante le persecuzioni naziste nei confronti degli ebrei è, comunque, tuttora lungi dall’essere chiusa: lo Yad Vashem, il museo dell’Olocausto di Gerusalemme, ospita dal 2005 una fotografia di Pio XII, la cui didascalia in calce ne definisce «ambiguo» il comportamento di fronte allo sterminio degli ebrei. A seguito di formale richiesta di modifica di tale didascalia nel 2006 i responsabili del museo si mostrarono disposti a riesaminare la condotta di Pio XII a condizione che ai propri ricercatori venisse concesso di poter accedere agli archivi storici del Vaticano; tale permesso non fu mai accordato. Più recentemente, il nunzio apostolico mons. Antonio Franco dapprima declinò, poi decise di accettare, l’invito a partecipare alla commemorazione della Shoah tenutasi al museo il 15 aprile 2007. Nell’occasione il direttore del museo stesso, Avner Shalev, promise che avrebbe riconsiderato la maniera in cui Pio XII era descritto nella didascalia. Al momento tuttavia la didascalia non ha mai subìto alcuna modifica.

 “L’antigiudaismo cattolico esiste ancora”, ha affermato l’ambasciatore israeliano alla Santa Sede, Mordechai Lewy. “Sono sicuro – ha detto Lewy – che quando il Concilio Vaticano II ha approvato la “Nostra Aetate” non tutti erano d’accordo come credo che non tutti lo siano ancora oggi”. Con la dichiarazione Nostra aetate, il Concilio Vaticano II ha ridefinito i rapporti tra cattolici ed ebrei e condannato l’antisemitismo. Laras ha posizioni differenti rispetto a chi ha fatto gli onori di casa – il rabbino capo Di Segni, 60 anni, primario di radiologia all’ospedale San Giovanni di Roma. Di Segni è ottimista e disposto al dialogo.

Le posizioni radicali non gettano ponti e il Mondo ha bisogno di vedere unità almeno nelle religioni. “Gli incidenti di percorso sono sempre possibili” ha detto Di Segni. “Abbiamo interpretazioni storiche molto differenti su quello che è successo e avremmo voluto che di queste cose che ci dividono profondamente non si parlasse in un’occasione che dev’essere dedicata a fondare e sostenere un’amicizia”. Per percorrere quei pochi metri nella sinagoga ci vollero molti anni – si disse nel 1986 in occasione della visita di Giovanni Paolo II – E’ importante creare ponti e non cedere ai falchi che soffiano sul fuoco del rancore e della divisione. La stima della Chiesa per i nostri fratelli maggiori nella fede è indiscussa e su questa base il dialogo continuerà. Già papa Paolo VI nel 1965 scriveva nella dichiarazione “Nostra Aetate”: «Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo. E se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo. E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura. Curino pertanto tutti che nella catechesi e nella predicazione della parola di Dio non si insegni alcunché che non sia conforme alla verità del Vangelo e dello Spirito di Cristo. La Chiesa inoltre, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli Ebrei, e spinta non da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque».

Un sano giudizio storico sul rapporto tra Pio XII e la shoà sarà comunque possibile solo quando sarà possibile accedere a tutte le fonti, come quelle riposte negli archivi segreti vaticani. L’intenzione del Vaticano c’è già. Dodici volumi di documenti raccolti da 4 storici gesuiti sono già disponibili agli esperti. Potranno fare chiarezza sull”atto mancato” – come l’ha definito Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma – del silenzio di papa Pio XII sulla shoà. Pacifici ammette però di essere al mondo grazie all’aiuto dato a suo padre, salvato dai nazisti dalle suore del convento di Santa Marta a Firenze.

“Il Signore ha fatto cose grandi per loro… ecco com’è bello che i fratelli vivano insieme…” Così alle 17:29 ha esordito papa Benedetto XVI nel suo discorso in sinagoga. Superare ogni incomprensione e pregiudizio è l’unica strada che può costruire. Di fondamentalismi distruttivi ne abbiamo già abbastanza. E il primo applauso Benedetto XVI lo riceve 6 minuti dopo quando si augura: “possano le piaghe dell’antisemitismo essere sanate per sempre”. Per fare questo occorre lo spirito ottimista del filosofo ebraico del XII secolo Mosè Maimonide che disse: «La perfezione spirituale dell’uomo consiste nel diventare un essere intelligente, che conosca soprattutto la sua capacità di imparare”. Come ha ricordato lo stesso Benedetto XVI il mondo si fonda su tre cose, secondo la tradizione giudaica: la Torah, il culto e le opere di misericordia. E tra queste vi sono sicuramente il perdono e il dialogo.

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Pubblicato su Affari Italiani del 18.01.2010   http://www.affaritaliani.it/politica/papa_sinagoga_ebrei_israle_rabbino_disegni180109.html