Se vuoi veramente amare, devi imparare a perdonare – diceva Madre Teresa di Calcutta. Il perdono è al cuore del messaggio del Vangelo. Ma cosa significa veramente perdonare? Come e quante volte perdonare? «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?» Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette». (Matteo 18,22). “Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati” (Marco 11,25). “Perdonate e vi sarà perdonato” (Luca 6,37). «Se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Matteo 6,15).
Sembra che gli uomini perdonino di meno delle donne, perché hanno meno capacità di immedesimarsi nei sentimenti degli altri, secondo Carmen Maganto, co-autrice dello studio pubblicato sulla Revista Latino americana de Psicologia, con Maite Garaigordobil, professore alla facoltà di Psicologia dell’università dei Paesi Baschi. Il perdono libera l’anima, rimuove la paura. È per questo che il perdono è un’arma potente (Nelson Mandela) ed è la qualità del coraggioso, non del codardo (Gandhi). Perdonare significa innanzi tutto rinunciare alla vendetta. Sarebbe giusto restituire in base al male ricevuto. Sì, è Parola di Dio nell’antico Testamento. Dio chiede agli Israeliti di essere equi nelle loro punizioni, con la legge del taglione: “Il tuo occhio non avrà compassione: vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede”. (Deuteronomio 19,21). Di questa legge noi ricordiamo solo “l’occhio per occhio” perché Gesù la cita nel Vangelo annunciando che (dopo dodici secoli) è superata : “Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra” (Matteo 5,38-39). Dobbiamo essere sinceri, a noi le due frasi sembrano paradossali. La maggioranza di noi non è poi così spietata come per la legge dell’occhio per occhio, vita per vita (pena di morte). Però rimaniamo di certo perplessi ascoltando le parole di Gesù. Come sarebbe a dire “non opporti al malvagio”? Gesù non chiede di farsi fare del male.
È lecito difendersi. Non è lecito vendicarsi, cioè restituire con gli interessi il male ricevuto. Possibilmente dobbiamo reagire solo per fatti realmente gravi, lasciando correre tutti le altre piccole “aggressioni” quotidiane. Quando reagiamo e ci difendiamo dobbiamo farlo senza odio. È poi sempre possibile pregare per chi ci ha ferito e poi cercare di dimenticare, perché “ciò che logora più rapidamente e nel modo peggiore la nostra anima è perdonare senza dimenticare” (Arthur Schnitzler). Perdoniamo quindi sia perché imitiamo il cuore di Dio, che veramente dimentica il nostro peccato, sia per noi stessi, perché il rancore ci blocca e non ci fa vivere bene. In sostanza perdoniamo per poter continuare a vivere, e Dio si prenderà cura di noi ricolmandoci con il suo favore, facendoci giustizia a suo modo e nei suoi tempi. Lo ha promesso. È bello e lecito “ricordarglielo” nella preghiera. In realtà lo ricordiamo a noi stessi: “E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra”. (Luca 18,7). È quindi anche un atto di fede in Dio che ci farà giustizia. Ricordiamoglielo: “Signore, Tu lo hai promesso!” E poi: “Aiutami a perdonare e ricolmami del tuo favore. Non ho rancore verso chi mi ha ferito, perché credo che tu sei ’vicino a chi ha il cuore ferito’, come dice il Salmo” (33,19). Perdonare è anche un grande esercizio di umiltà. Il cuore perdona spesso, la ragione qualche volta, l’amor proprio mai (Louis Dumur).
Rimane una perplessità. Perdonare “settanta volte sette”, come dice Gesù. Sette è il numero dell’infinito. Settanta volte sette è un modo paradossale ebraico di dire: “Sempre, senza limiti”. E qui scatta il nostro orgoglio. Secondo un detto popolare meridionale: “Qui nessuno è fesso!” Se continuo a perdonare quello/a se ne approfitta di me! In effetti, è meglio che Dio non ragioni così con noi. Come fare? Per noi perdonare vuol dire non odiare mai e rinunciare sempre alla vendetta. Penso che l’unica vendetta senza odio sia quella divina: “Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina. Sta scritto infatti: ‘A me la vendetta, sono io che ricambierò, dice il Signore’” Romani 12,19). Certo, possiamo evitare che qualcuno se ne approfitti di noi, senza odiarlo: “Siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (Matteo 10,16). Secondo lo studio già citato sono emersi elementi che pare rendano più facile perdonare: il rimorso mostrato da chi ha offeso, e il non serbare rancore, per chi è vittima del torto. L’ambiente familiare gioca un ruolo importante nella trasmissione dei valori etici, che si portano poi fino alla scuola e facilitano l’insegnamento al perdono. «Ognuno di noi perdona in proporzione della sua capacità di amare». (François de La Rochefoucauld). «Dimenticare le devastazioni del peccato, dirai, nessuno lo può; resta il rimorso, tenace, lancinante. Se la tua immaginazione ti presenta l’immagine distruttrice del passato, sappi che Dio non ne tiene conto. L’hai capito? Per vivere il Cristo in mezzo agli altri, uno dei rischi più grandi è il perdono. Perdonare e di nuovo perdonare, ecco ciò che cancella il passato e immerge nell’istante presente. Portatore del nome di Cristo, cristiano, per te ogni istante può diventare pienezza… Non si perdona per interesse, perché l’altro cambi. Sarebbe un calcolo miserabile che non ha nulla da spartire con la gratuità dell’amore. Si perdona a causa del Cristo» (Frère Roger di Taizé).
C’è una grande saggezza psicologica nell’insistenza della tradizione cristiana che il perdono proviene attraverso la Croce di Cristo. Perché in quest’uomo, ingiustamente processato, torturato e inchiodato a una croce, il cristiano vede dischiudersi le qualità del Dio che è attivo in tutto ciò che avviene. Egli vede nell’uomo crocifisso Dio che attua interamente la sua identificazione con gli uomini e con le donne, a prescindere dalla loro responsività. Se Dio arriva a tanto nel tollerare gli uomini così come sono, allora un uomo dovrebbe essere capace di tollerare se stesso… Bunyan, scrivendo sul cristiano, descrive la propria esperienza. Dopo essere stato tormentato per molti anni da un sentimento di colpa, imparò attraverso la croce a smettere di rifiutare se stesso e ad entrare nella pace del perdonato, la pace di coloro che accettano se stessi perché credono che Dio li abbia accettati… Ogni persona, per realizzare il proprio potenziale come essere umano, ha bisogno di affrontare e accettare il lato cattivo, apparentemente vergognoso, di se stesso. La realizzazione del perdono divino, se correttamente compresa, permette agli uomini di accettarsi; mette termine alla guerra civile all’interno della personalità. Questa pace interiore, questa realizzazione di potersi accettare, segue spesso la realizzazione di essere accettati dagli altri.
Giorgio Nadali