L’Io unificato e permanente di Gurdjieff

Il metodo di auto sviluppo è, come insegna Gurdjieff, il tentativo dell’individuo di liberarsi dal pesante fardello delle leggi naturali, sotto le quali siamo obbligati a vivere secondo il nostro posto e la nostra funzione che abbiamo nell’universo. (Ricordo che la legge naturale è invece fondamentale nell’educazione cattolica). Tale obiettivo viene raggiunto stimolando la lotta tra l’essenza e la personalità, affinché l’essenza si armonizzi in un Io unificato e permanente. Per seguire il lavoro di Gurdjieff non è necessario abbandonare la casa, il lavoro, la famiglia; per questo è più accessibile rispetto ad altre vie di auto realizzazione, che già da subito chiedono la rinuncia al mondo.

Per iniziare a lavorare su Sé stessi secondo il lavoro di Gurdjieff è importante riuscire a trovare un maestro e un gruppo; ricordando quello che sottolineava lo stesso Gurdjieff “colui che desidera la conoscenza, deve compiere da solo lo sforzo iniziale per trovare la sorgente di essa ed avvicinarsi usando aiuti e direzioni che sono a disposizione di tutti, ma che gli uomini regolarmente non desiderano vedere né riconoscere. La conoscenza non arriva da sola agli uomini, se loro da soli non si sforzano”.

Il lavoro di Gurdjieff rappresenta in gran misura l’attività di gruppo. Un numero specifico di allievi radunati intorno al Maestro possono formare la base di lavoro a loro reciproco vantaggio. Per questo un individuo che lavora da solo, nonostante la sua devozione al lavoro, non può avere i vantaggi dati dal gruppo. Il gruppo serve a creare condizioni favorevoli per il lavoro su Sé stessi, a generare energia, a poter creare attraverso attriti interpersonali il “fuoco” psicologico che assicura il reciproco supporto per altre diverse mete. L’entrata nel gruppo e il rapporto con il maestro, rappresentano il vero e proprio inizio del lavoro. La conoscenza si trasmette oralmente e i Maestri usano la così detta situazione del momento “ora e quì “; nonostante le esigenze che variano a seconda delle persone, è importante chiarire che nell’insegnamento di Gurdjieff esistono 3 linee di lavoro:

1° Il lavoro su sé stessi per sé stessi
2° Il lavoro con altri per altri
3° Il lavoro su Sé stessi per Sé stessi, con altri per altri,
per una Scuola che da compiti

Il primo livello di lavoro rappresenta un tentativo esteso a seguire l’antico ordine che dice “conosci te stesso”. Il lavoro in questa direzione consiste nel raccogliere informazioni sul funzionamento personale, senza nessun tentativo di cambiarsi, focalizzandosi sulla conoscenza reale di noi stessi, senza immaginazioni sulle nostre capacità, la nostra volontà e su un Io permanente. Il processo di conoscenza di se stesso evolve dalle osservazioni di abitudini corporee verso osservazioni delle reazioni emotive e dei modelli intellettuali, si possono così verificare, con il tempo, più frequentemente momenti lucidi di ricordo di Sé, che sono riflessi di un alto livello di coscienza. “Quello che noi siamo veramente e quello che fingiamo e crediamo di essere, rappresentano due parti opposte. Queste due parti opposte esistono in tutti noi senza eccezioni”.

“La cosa più difficile per l’uomo, disse Gurdjieff, è di sopportare gli atteggiamenti degli altri”. Il secondo livello di lavoro assicura specifiche condizioni nello sforzo di diventare consci del proprio comportamento nei confronti degli altri, che dà anche la possibilità di esercitare nuovi modi di stare con gli altri. Il secondo livello di lavoro, abbraccia i rapporti e l’interazione con gli altri, ma l’attenzione è ancora accentuata sui modelli di reazioni individuali, sugli altri e su contesti sociali.

Nel terzo livello di lavoro si concede e incoraggia la propria iniziativa; la crescita personale o guadagno, non rappresentano il centro dello sforzo principale. L’essenza del terzo livello di lavoro rappresenta il servizio disinteressato, perché ogni atto disinteressato supera le capacità degli esseri umani su livelli abitudinari della coscienza. Questo livello di lavoro non può intraprendere nessuna direzione né sforzo duraturo finché la personalità (almeno in certa misura) non è disarmata e il livello di coscienza migliorato.

I movimenti di ginnastica ritmica e danza della fonte asiatica furono adattati da Gurdjieff per essere utilizzati nel lavoro, rappresentando una specie di meditazione in movimento capace di portare l’allievo ad un livello di trascendenza e di trasmettere una determinata specie di coscienza, offrendo il mezzo di raggiungimento di una condizione armoniosa di essere e consentendo all’allievo di osservarsi come essere dalla triplice natura e come totalità. Le forme dei movimenti sono composte da tante specie di danze e da esercizi obbligatori che tutti devono imparare. Questi movimenti sono legati alla musica che influenza e impegna il centro emotivo, con sforzo del centro intellettuale, per seguire forme prestabilite. Il funzionamento del livello istintivo motorio è di opporsi a tutte le propensioni personali effettuando gesti e posizioni insolite. I movimenti di Gurdjieff rompono il cerchio vizioso in quanto si pretendono dal danzatore movimenti innaturali e insoliti che nella vita di tutti i giorni si vedono raramente; tali movimenti rappresentano una sfida nei confronti delle usuali espressioni fisiche dando la possibilità di nascita ad una nuova libertà, cercando di combattere la meccanicità abituale di tutti i nostri movimenti dei quali il maggior numero inconsci. La persona non può rompere lo schema da sola ma con un aiuto esterno: Il Maestro.

Per far sì che tutti i centri lavorano nel modo giusto e non si ostacolino tra loro c’è bisogno di un vero sforzo fisico, solo in questo modo si crea la possibilità per l’armonia. Alcune nostre capacità possono essere espresse solo quando sottoponiamo il nostro corpo ad uno sforzo che esige una grande attenzione e un enorme consumo di energia, cioè quando gli sforzi che si fanno sono al limite dell’esaurimento, dandoci così la possibilità di accedere ad un contenitore speciale di energia: il “grande accumulatore” (Pura Coscienza). Solo da questo si può trarre l’energia per il lavoro su Sé stessi, per l’evoluzione interiore e per gli sforzi richiesti quando l’uomo intraprende la via della conoscenza. Il grande accumulatore ci dà la possibilità di fare sforzi eccezionali, impossibili allo stato normale.

Il lavoro su Sé stessi è individuale e pratico . I risultati sono in diretta armonia con la comprensione. Non si deve accettare nulla se non è dimostrato con un esame personale, la cieca fede non è in armonia con il fondamentale orientamento di questo lavoro. Per questo motivo l’insegnamento di Gurdjieff è completato con alcuni esercizi pratici dediti a portare l’attenzione su noi stessi. Uno di questi esercizi mentali può essere il cercare di essere consci di Sé stessi e concentrati su un pensiero, una parola, guardando la lancetta dei secondi, cercando di rimanere consapevoli di noi stessi, della nostra esistenza e del posto in cui siamo, eliminando tutti gli altri pensieri. Il limite della nostra consapevolezza sarà misurato con il tempo in cui saremo capaci di fare ciò. Vi sono molti altri esercizi che mettono alla prova il limite massimo di concentrazione o meglio di attenzione che ciascuno di noi può sopportare. Questo perché la nostra attenzione non è coerente e perché tutto quello che facciamo è spesso distorto dall’identificazione. Un altro esercizio può essere quello di rivivere gli eventi del giorno, esercitato regolarmente dovrebbe dare molte informazioni che arricchiscono la comprensione della meccanicità umana. Se questi allenamenti venissero praticati con coerenza può succedere che i momenti di auto osservazione comincino spontaneamente ad apparire durante il giorno.
La consapevolezza può apparire temporaneamente “ora e qui” invece che nella memoria.

Giorgio Nadali

da: Prof. Giorgio Nadali,  “Quale proposta educativa nel Cattolicesimo e nei Nuovi Movimenti Religiosi?”

Torino – Facoltà Teologica – 12 Novembre 2005
5° Corso Triennale di Formazione Ecumenica

Accademia Dushan Ki Kai Ku Kan


La scienza conferma: L’anima è immortale. Scoperta in campo quantico

Alcuni fisici internazionali sono convinti che il nostro spirito ha uno stato quantico e che il dualismo tra corpo e anima è altrettanto reale quanto il “dualismo onda-particella” (detto anche “dualismo onda-corpuscolo”) delle particelle più piccole.

Il Dottor James G. di San Francisco, un ex collaboratore della società tedesca Max-Planck di Francoforte, ha riportato la seguente incredibile storia: “Ho studiato non solo negli U.S.A., ma per alcuni semestri ho studiato chimica anche a Londra. Quando arrivai in Inghilterra, il pensionato universitario era pieno, così aggiunsi il mio nome alla lista d’attesa. Poco tempo dopo, ricevetti la bella notizia che una camera si era liberata. Poco tempo dopo essermici trasferito, mi svegliai una notte e nel crepuscolo fui in grado di vedere un giovane uomo con ricci capelli neri. Ero terrorizzato e dissi al presunto vicino che aveva sbagliato stanza. Lui semplicemente pianse e mi guardò con una enorme tristezza nei suoi occhi.

Quando accesi la luce, l’apparizione era scomparsa. Dato che ero certo al cento percento che non era stato un sogno, il mattino dopo raccontai lo strano incontro alla direttrice del collegio. Le feci un’accurata descrizione del giovane uomo. Lei improvvisamente impallidì. Guardò negli archivi e mi mostrò una foto. Riconobbi immediatamente il giovane uomo che era venuto a trovarmi nella mia stanza la notte precedente. Quando le chiesi chi fosse, mi rispose con voce tremolante che si trattava dell’affittuario precedente. Poi aggiunse che la mia stanza si era liberata perché si era tolto la vita poco prima.L’autore non avrebbe mai documentato la storia se “James” non fosse stata una persona totalmente degna di fiducia e affidabile”.

Il Professor Hans-Peter Duerr, ex direttore dell’Istituto Max Planck di Fisica di Monaco, rappresenta il parere che il dualismo delle particelle più piccole non si limita al mondo subatomico, ma è invece onnipresente. In altre parole: il dualismo tra corpo e anima è altrettanto reale per lui quanto il “dualismo onda-particella” delle particelle elementari. Secondo il suo punto di vista, esiste un codice quantico universale applicabile a tutta la materia vivente e non. Questo codice quantico abbraccia presumibilmente l’intero cosmo. Di conseguenza, Duerr crede – di nuovo basandosi su considerazioni puramente fisiche – nell’ esistenza dopo la morte. Ecco come lo ha spiegato nel corso di un’intervista:

“Ciò che consideriamo il qui ed ora, questo mondo, è in realtà solo il livello materiale comprensibile. L’aldilà è una realtà infinita che è molto molto più grande. Nella quale questo nostro mondo è radicato. In questo modo, le nostre vite su questo piano di esistenza sono contenute e circondate già dal mondo dell’aldilà. Quando pianifico immagino di aver scritto la mia esistenza in questo mondo su una specie di hard disk sul tangibile (il cervello), e di aver anche trasferito questi dati su un campo quantico spirituale, così da dire che quando morirò, non perderò queste informazioni, questa coscienza. Il corpo muore ma il campo quantico spirituale continua. In questo modo, io sono immortale.”

L’anima lascia il corpo. Video

Il Dottor Christian Hellweg è convinto anche che lo spirito ha uno stato quantico. Nel corso dei suoi studi in fisica e medicina, ha effettuato ricerche sulle funzioni cerebrali per molti anni presso l’Istituto Max Planck di Biochimica Fisica. Ha dimostrato che le informazioni nel sistema nervoso centrale possono essere codificate in fasi. Negli ultimi anni ha dedicato la sua vita allo studio della questione corpo-anima e ha effettuato ricerche sulle percezioni immateriali e allucinazioni. E’ interessato in modo particolare al fischio/ronzio nelle orecchie, una percezione immateriale del senso dell’udito. Di conseguenza si è specializzato anche nella terapia. Sintetizza la sua tesi nel seguente modo:

I nostri pensieri, la nostra volontà, la nostra coscienza e le nostre sensazioni mostrano proprietà che potrebbero essere definite come proprietà spirituali … Nessuna interazione diretta con le forze fondamentali conosciute della scienza naturale, come la gravitazione, le forze elettromagnetiche, etc… può essere rilevata nello spirituale. D’altro canto, però, queste proprietà spirituali corrispondono esattamente alle caratteristiche che contraddistinguono i fenomeni estremamente sconcertanti e meravigliosi del mondo quantico. Mondo quantico, in questo caso, si riferisce a quel regno del nostro mondo che non è solo fattuale; in altre parole, il regno delle possibilità, il regno dell’incertezza, dove noi “sappiamo il cosa” ma non sappiamo esattamente né il quando né il come. Sulla base del contesto della fisica tradizionale, si può concludere, per necessità, che questo regno deve effettivamente esistere nella realtà.

Il fisico americano John Archibald Wheeler colpisce un nervo simile, “molti scienziati speravano … che il mondo, in un certo qual senso, fosse tradizionale – o semplicemente privo di curiosità del tipo larghi oggetti che sono nello stesso posto allo stesso tempo. Ma queste speranze sono andate in fumo dopo una serie di nuovi esperimenti.

Attualmente ci sono gruppi di ricerca universitari che analizzano l’interazione tra coscienza e materia. Uno dei principali ricercatori in questo campo è il fisico Professor Robert Jahn della Università di Princeton nel New Jersey.

Egli sostiene che se gli effetti e le informazioni possono essere scambiati in entrambe le direzioni tra coscienza umana e ambiente fisico, allora si deve anche assumere una risonanza o “potenziale legame molecolare” anche per la coscienza. In sintesi: secondo questa teoria, si dovrebbe riconoscere anche alla coscienza le proprietà quantiche conosciute. A suo avviso non avrebbe senso assegnare termini come informazione o risonanza né al mondo fisico né alla coscienza spirituale o separare gli effetti fisici dagli effetti spirituali.

Il fisico quantico David Bohm, allievo e amico di Albert Einstein, fece affermazioni simili. La sua sintesi: “I risultati delle scienze naturali moderne hanno senso solo se assumiamo una realtà interiore uniforme trascendente che si basa su tutti i dati e fatti esterni. Il vero profondo della coscienza umana è una di queste.”

Il fisico nucleare e biologo molecolare Jeremy Hayward della Università di Cambridge non fa mistero delle sue convinzioni: ”Molti scienziati che fanno parte della corrente scientifica principale non hanno più paura di dichiarare apertamente che la coscienza potrebbe, in aggiunta a spazio, tempo, materia, essere un elemento fondamentale del mondo – probabilmente molto più fondamentale di spazio e tempo. Potrebbe essere un errore separare lo spirito dalla natura.” Viene addirittura messo in discussione se la materia debba essere considerata un elemento fondamentale dell’universo.

Dr. Rolf Frobã–Se – The Huffington Post

dallo SchwartzReport del 29 giugno 2014

traduzione a cura della redazione di coscienza.org – Erica Dellago

coscienza.org


Esplode lo scaldabagno: Aldilà e ritorno per Hilde

 

Hilde Genoese – 53 anni – è una nota pittrice milanese che ora vive e lavora a Corte Maggiore (PC). Nell’estate del 1979 – all’età di diciassette anni – ha subito un grave incidente domestico per lo scoppio dello scaldabagno.

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Hilde vuoi raccontarci cosa ti è successo?

«Quel lontano pomeriggio estivo nella mia casa a Milano mi avvicinai brevemente  al confine fra la vita e la morte. Non so spiegare diversamente ciò’ che mi successe…Era ora di pranzo e mi trovavo in casa da sola.  Dovevo lavare i piatti….Così aprii il rubinetto dell’acqua, misi i guanti di gomma, ma mi accorsi che non arrivava acqua calda perché lo scaldabagno non era acceso. Gli scaldabagni di un tempo erano ad accensione manuale, quindi bisognava accendere la fiammella; non era automatico.  Così, senza chiudere il rubinetto, mi sfilai con calma i guanti e mi misi alla ricerca dei fiammiferi, che non trovavo. Finalmente li trovai, a questo punto penso di aver chiuso il rubinetto dell’acqua, ma non ricordo questo particolare, presi una sedia per arrivare allo sportellino per l’accensione. Salì e sfregai il fiammifero sulla scatoletta per accenderlo(non pensando assolutamente che avendo lasciato  aperto il rubinetto dell’acqua calda senza aver acceso preventivamente lo scaldabagno, in contemporanea era uscito il gas dalla bocchetta)».

Ci fu un’esplosione?

«Sì, l’ambiente  piccolo della cucina fece il resto. Fu una leggerezza dovuta all’inesperienza e all’età. Fu unattimo.Ci fu un’esplosione. Una luce abbagliante davanti agli occhi, una vampata di calore  in viso poi nulla, nessun dolore. Silenzio. Immediatamente in un battito di ciglia, mi ritrovai in un luogo che non conoscevo, c’era una nebbia diffusa intorno a me che non mi faceva vedere nulla oltre una certa distanza, ma era tutto luminoso».

Dove ti trovavi? 

«Ero sempre io, mi sentivo un corpo, pensavo quindi ero. Ma non ero più in cucina. Questa era una certezza, quindi pensai:“sono morta!”. “Ma che  modo di morire!” Pensai fra me e me ridacchiando malinconicamente. Se me lo avessero detto stamattina che sarei morta così stupidamente non ci avrei creduto! Non ero disperata, ma sorpresa e un po’ arrabbiata con me stessa».

Cosa hai visto?  

«Mi guardai intorno, solo nebbia grigia, ma luminosa, come se celasse una grande luce, un po’ come quelle giornate belle in pianura dove c’è’ la nebbia, ma tu sai che oltre c’è’ il sole, perché c’è una luce diffusa».

Cos’hai provato in quel momento? 

«Ho pensato: “Non mi lasceranno qui da sola,spero.Verrà qualcuno a prendermi”. Mi guardavo intorno… Immediatamente come  a rispondere alla mia chiamata una figura alta e austera si presentò’ davanti a me, sembrava avesse una tunica fino ai piedi, grigia. Non vedevo i suoi lineamenti, ma ne avvertivo l’autorità. Pensai titubante: “saràSan Pietro!” Questa figura non parlava, ma interagiva con i miei pensieri. Aprì un enorme libro che teneva fra le mani.Fra me e me pensai “adesso mi dirà ‘hai fatto questo, hai fatto quello’, come dicono sulla Terra”. Il libro della vita.

Hai rivisto la tua vita?

«Sì, come  per magia iniziai a rivedere la mia breve vita partendo dall’inizio.Dalla gestazione. Mi rividi feto nel ventre di mia madre.La cosa meravigliosa è che vedevo e rivedevo con gli occhi di allora, con le stesse emozioni.Vedevo la luce che filtrava dal grembo di mia madre, rosata. Sentivo il suo battito del cuore e avvertivo il suo grande amore per me. Che cosa meravigliosa!Poi cambiò di colpo tutto mi rividi piccola nel lettino in camera dei miei. Vedevo tutto dall’alto, mia madre che veniva a prendermi perché mi ero appena svegliata. La gioia era immensa nel sentire il suo abbraccio  di mamma che mi tirava fuori dal lettino a sponde alte».

E poi?

«Poi velocemente vidi un’altra scena. Ero in un sito archeologico con i miei genitori…ero molto piccola, forse un paio d’anni, iniziai a camminare, mia madre preoccupata disse a mio padre di non farmi camminare perché sarei caduta, mio padre rispose a  mia madre che dovevo imparare a camminare da sola e mi lasciò la mano come previsto da mia mamma caddi ferendo i leggermente al ginocchio, i miei bagnarono un fazzoletto alla fontana per pulire la ferita. Altro cambio di scena velocissimo ero in un parco con mia mamma…vedevo tutto dall’alto ma istantaneamente entrai in quella piccola bambina che correva nel Prato …ero io lo sapevo….rincorrevo un passerotto che saltellava nell’erba, sono un bimba di circa due anni…vedo i miei piedini che camminano incerti e lo rincorrono nel prato….con il mio piedino inavvertitamente mi sembra di aver calpestato il passerotto…..disperata e piangente mi giro verso mia mamma in cerca d’aiuto…ed ecco che esco da mio corpo di bimba e mi ritrovo in alto con una visione a 360 gradi. Vedo il passerotto volare dietro le mie spalle di bimba. “È felice”– esclamo – “ma allora si è’ salvato”. Ho sempre pensato di averlo schiacciato! Tutto questo era un magnifico spettacolo tridimensionale, interattivo. Ero protagonista e spettatrice insieme. Come dei flash veloci mi scorrevano davanti agli occhi alcuni episodi della mia breve vita».

Insomma tutte scene della tua vita…

«In un attimo mi vedo più ‘ grande, penso sui cinque anni. Sto portando al terzo piano il seggiolino del passeggino di mia sorella che mi ha chiesto mia mamma. Faccio un po’ fatica, si apre una porta sul pianerottolo ed esce una signora che mi chiede cosa sto facendo. Mi dice che sono brava e vuole premiarmi…rientra in casa ed esce con un anatroccolo di peluche tutto rosa. Mi sentivo orgogliosa di me…un premio! Ed ecco che mi ritrovo nell’immensità del cosmo, fra galassie e stelle e vedo la Terra in lontananzain un silenzio assoluto, bellissima, perfetta. È in quel preciso istante qualcosa di grande mi viene svelatoe mi dico “adesso capisco perché si vive e perché’ si muore. Adesso tutto ha un senso!”»

Ti sentivi viva?

«Sì, poi ho visto il mio funerale. Sempre dall’alto ho visto una folla immensa e il corteo funebre percorre la via dove abito per dirigersi verso la chiesa. In un istante ho visto tutto da un’insolita posizione. Ero seduta sulla mia bara e di fronte ai miei genitori, che seguivano il corteo funebre. Ero tristissima non ero morta, anzi, mi sentivo più viva che mai. Ero profondamente infelice nel vedere il loro dolore e soprattutto per non riuscire a comunicare con loro, per dire che stavo bene ed ero felice».

Come sei ritornata nel tuo corpo?

«Ritorno nella nebbia ma ora non sono più sola. Davanti a me un ruscello con un piccolo ponte…dall’altra parte tante figure, che riconosco a me legate affettivamente ma di cui non distinguo i lineamenti. e rifletto fra me e me….ho perso solo i nonni e un fratellino appena nato…invece ci sono tante persone che mi aspettano, com’è’ possibile?. Dietro di loro un enorme cancello in ferro battuto chiuso. Dietro il cancello la nebbia sembra più luminosa, quasi diradata. Le comunicazioni fra me e loro erano telepatiche, immediate, non c’era possibilità’ di fraintendersi o non capire. Mi chiesero se volevo rimanere con loro o tornare sulla Terra, usando questa espressione. Senza esitazione penso è questa la vera Casa la vera vita! Voglio stare con voi, ma nello stesso istante in cui faccio il passo per attraversare il ponte che mi porta da loro ho un momento di esitazione, penso a quanto dolore avrei dato ai miei con quella scelta…l’avevo visto. Immediatamente mi respingono dicendomi che non era ancora arrivata la mia ora. Vengo risucchiata verso il basso in un vortice di luci e colori al quale cercavo di oppormi con tutte le mie forze. Aggrappandomivolevo vedere di più, volevo sapere di più. Il tutto ad una velocità supersonica, inseguita da una voce che mi diceva che non potevo spingermi oltre, di non oppormi. Di colpo passai dal frastuono al silenzio della mia cucina. Vedevo il mio corpo sotto di me, da un’insolita prospettiva, in ero sopra al mio corpo, vicino al soffitto in un silenzio totale. Sentivo l’acqua sgocciolare nel lavello…come una goccia d’olio ridiscesi dentro il mio corpo, dalla sommità’ della testa. Quel corpo che sapevo essere il mio  e che guardavo come un mio abito usato,  perché era estraneo al mio essere. Sentivo di avere un corpo, come prima, che rispondeva ai miei comandi. Pensavo, consideravo, quindi ero!  Dopo qualche secondo cominciai  a vedere le cose intorno da una altezza umana e mi domandai se fossi ancora viva. Ma ritenevo la cosa impossibile, considerando tutto quello che avevo vissuto. Decisi di darmi un pizzicotto per sentire se avvertivo qualche sensazione. Lentamente avvicinai le braccia e con mia grande sorpresa avvertii il pizzicotto…spalancai gli occhi incredula…poi mi sistemai quel corpo,  esattamente come si fa con un vestito messo male. Mi accorsi di essere ancora in piedi sulla sedia, le gambe cominciarono a tremarmi, perché stavo realizzando quello che era successo, che faceva a pugni con la mia razionalità. Così scesi a terra, andai al lavandino e con la mano bevvi un sorso d’acqua per riprendermi dallo spavento. Mi guardai intorno e vidi la schermatura di ferro dello scaldabagno scaraventata in corridoio, qualche metro più in là. Poi corsi allo specchio a guardarmi il viso, temevo il peggio, pur non sentendo ne’ dolore ne’ bruciore. Vidi che avevo bruciato ciglia e parte delle sopracciglia, un po’ i capelli, ma fortunatamente nessuna ustione sulla pelle. Altri danni non ce n’erano stati, a parte la grande paura. Ma ero perplessa, come giustificare l’esperienza fatta. Dopo poco arrivò il ragazzo che sarebbe diventato mio marito. Ascoltò il racconto e bonariamente ci rise sopra. Come dargli torto. D’altronde non sapevo spigarmelo pure io. Chiamai l’idraulico che rimise lo scaldabagno in funzione e a posto, anche lui spaventato e soprattutto perplesso sul fatto che nessuno avesse sentito l’esplosione che c’era stata, visto le conseguenze, ma essendo all’ultimo piano di una palazzina di otto piani poteva essere giustificato».

Questa esperienza ti ha cambiata?

«Passarono mesi, anzi anni, in cui mi sentivo effettivamente sola, non capivo quello che era successo; non ne potevo parlare con nessuno, a parte la famiglia e gli amici più’ stretti. Io stessa facevo fatica a far collimare la mia razionalità con quell’episodio così’ strano.Quando vedevo un funerale ripensavo a come l’avevo vissuto io dall’altra parte e, mi vergogno a dirlo, sorridevo perché’ non avevo più quel senso di paura della morte. Non avvertivo più lo sgomento della morte, ormai dentro il mio cuore avevo la certezza che tutto non finiva con il corpo.Un giorno passeggiando per le via del centro di Milano entrai in una libreria. C’era una pila di libri in offerta e me ne capitò in mano uno: ”Vita oltre la vita” di Raymond Moody. Lessi l’introduzione e….con una gioia incredibile scoprii che parlava di esperienze di premorte come la mia. Non ero la sola! Ad altri era successo qualcosa di “strano” come me. Corsi a casa e avidamente mi buttai nella lettura. Più leggevo e maggiore era la mia certezza che stavamo parlando della stessa cosa. Così’ capii che certi passaggi di questa esperienza era comune in molte persone in pericolo di vita o prossime a morire.Non importava sesso, età’, istruzione, credo religioso…tutti avevano vissuto visto parte o tutta la mia esperienza. Per tutti la vita era cambiata, i valori erano diversi e soprattutto qualcuno aveva portato con sé un “dono” spirituale. Capii anche che la mia esperienza era stata completa, praticamente avevo vissuto tutti i passaggi principali. Uscita dal corpo,incontro con essere  superiore, filmino tridimensionale sulla propria vita, tunnel di luce, il ritorno.Fu un sollievo enorme capire che non ero sola al mondo ad aver avuto una simile esperienza».

Quanto è durata questa esperienza?

«Non so dirlo. Secondo me è stata un’esperienza fuori dal tempo. Ho avuto un’esperienza lunga stando in piedi sulla sedia di fronte allo scaldabagno. Ero sola in casa e nessuno può dirmi quanto è durata. Mio papà era al lavoro e mia mamma al mare con mia sorella».

Non hai guardato che ore erano prima e dopo?

«All’ora di pranzo, ma non ho guardato l’ora. Ero talmente spaventata di quello che era successo che l’ultimo di miei pensieri era guardare l’ora»

È arrivata l’ambulanza?

«No, no. Non ho avuto danni gravi. Ho solo chiamato l’idraulico».

Eri religiosa a quel tempo?

«Non particolarmente. Andavo in chiesa la domenica, all’oratorio.Ma anche adesso. Ho tutto un mio modo di pensare».

Con chi ne hai parlato?

«Con i miei genitori e col mio ragazzo. Ma erano perplessi. Ho passato degli anni pensando che ero impazzita. Ho avuto un’illuminazione solo dopo che ho letto il libro».

Dopo quanto?

«Dopo quattro anni»

Ne hai mai parlato con un prete?

«No»

Ma poteva essere un incidente mortale? Se tu dicevi che volevi restare allora morivi?

«Non era il mio momento, ma può darsi di sì. Tu senti che la tua vera vita è la e la tua vera casa è là»

Come è cambiata la tua vita?

«Ho una grande moralità. Come se avessi fatto un catechismo forzato. So che sarò il giudice di me stessa e vedrò solo cose belle e che l’amore è la cosa più importante. Il bene che si fa. Ho visto solo scene in cui davo o ricevevo amore. Non sono riuscita a rimanere in politica. Mi sono tolta. Ero stata eletta».

Hai visto anche il male fatto?

«No. Non ho visto niente di spiacevole. Solo cose di amore»

Che faccia aveva questo essere?

«Non facevano paura, ma non vedevo il viso. Era tutto grigio, non vedevo nulla»

Questo essere senza volto parlava in italiano?

«Eh sì. Una voce maschile»

Profonda?

«No, una voce normale, ma ne avvertivo l’autorità. Ne avevo soggezione. È stato un accompagnatore solo all’inizio dell’esperienza. Non diceva nulla»

Come comunicavate?

«Mentalmente»

Hai visto Dio?

«No, ho visto questa figura che ritenevo autorevole, ma non mi dava giudizi».

Qual è l’ultima cosa che ricordi?

«Un gran calore sul viso e un gran bagliore il rumore dell’esplosione. Ero in piedi su una sedia e alla fine ero ancora là in piedi sulla sedia»

Come hai fatto a non cadere dalla sedia dopo l’esplosione?

«Non lo so»

Vedevi tutto della tua vita?

«Solo alcuni episodi come dei flash»

Perché hai deciso di tornare?

«Per non condannare i miei genitori ad una sofferenza atroce.

Hai delle capacità particolari adesso?

«Ora ho dei doni. Dipingo molto meglio di prima. Vittorio Sgarbi è venuto a casa mia e si è stupito. Ma non gli ho detto dell’esperienza. Poi ho le mani con un calore speciale.Per me c’è stata un’ulteriore conferma perché guardando una trasmissione televisiva ho indovinato cosa c’era nascosto in una scatola, ma ora non ho più queste capacità»

Ora sei religiosa? Vai a Messa tutte le domeniche?

«Non tutte le domeniche, ma spesso»

Come mai?

«Non ritengo questa cosa importante tanto quanto il comportarsi bene. È il Vangelo vissuto che è importante»

Credi che esistano il Paradiso e l’Inferno?

«Sì»

Purgatorio?

«Sulla Terra»

Perché è successo a te?

«Non lo so»

Li hai visti?

«No, ho visto solo nebbia luminosa»

Intervista di Giorgio Nadali

 

 


Inferno. E’ facile andarci?

 

«Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli». (Matteo 25,41).

Sono le parole di Cristo riguardo la minaccia della dannazione eterna. Tra le più dure pronunciate  da Gesù nei Vangeli. Che cosa hanno fatto le persone nella narrazione evangelica? Hanno fallito o rifiutato tutte le occasioni di amare disinteressatamente il prossimo. Qualcuno parla però della teoria dell’”Inferno vuoto”. Cos’è? È la tesi di un grande teologo e cardinale svizzero scomparso nel 1988. Hans Urs von Balthasar. La tesi di von Balthasar afferma che sperare la salvezza eterna di tutti gli uomini non è contrario alla fede cristiana. Essa si basa sull’autorità di alcuni Padri della Chiesa, tra i quali Origene e Gregorio Nisseno, ed è condivisa da diversi teologi contemporanei, tra i quali Jean Daniélou, Henry de Lubac, Joseph Ratzinger (il papa emerito Benedetto XVI), Walter Kasper, Romano Guardini. Da scrittori cattolici come  Paul Claudel, Gabriel Marcel e Lèon Bloy. La Chiesa afferma che chi muore in peccato mortale non si salva, ma non dice se questo sia mai avvenuto. Difatti non ha mai fatto nomi di dannati, come invece si è permesso di fare Dante Alighieri – secondo il suo parere – nella Divina Commedia. E tra questi ben sei papi!

Niccolò III (Giovanni Gaetano Orsini, 1277-1280), posto nella terza bolgia dell’ottavo girone, con i simoniaci (venditori di cose spirituali) insieme a Bonifacio VIII (Benedetto Caetani, 1294-1303), papa Clemente V (Betrand de Gouth, 1305-1314), Bonifacio VIII è citato anche nella bolgia VIII per i consiglieri fraudolenti insieme a papa Silvestro I (314-335). Nel sesto cerchio vi è papa Anastasio II (496-498) con gli eretici. Infine il papa dimissionario Celestino V (Pietro Angeleri, 1294)  nell’antinferno con gli ignavi. La Chiesa l’ha invece dichiarato santo. Ma torniamo al peccato mortale. Scrive San Tommaso d’Aquino: «Quando la volontà si orienta verso una cosa di per sé contraria alla carità, dalla quale siamo ordinati al fine ultimo, il peccato, per il suo stesso oggetto, ha di che essere mortale… tanto se è contro l’amore di Dio, come la bestemmia, lo spergiuro, ecc., quanto se è contro l’amore del prossimo, come l’omicidio, l’adulterio, ecc… Invece, quando la volontà del peccatore si volge a una cosa che ha in sé un disordine, ma tuttavia non va contro l’amore di Dio e del prossimo — è il caso di parole oziose, di riso inopportuno, ecc. — tali peccati sono veniali». Per il peccato mortale occorrono tre (difficili) condizioni: Piena avvertenza (mi rendo pienamente conto di ciò che faccio), Materia grave (contro uno dei Comandamenti), Deliberato consenso (il mio atto è assolutamente libero da qualsiasi condizionamento).

Condizioni difficili da soddisfare umanamente tutte insieme. Quanti sanno quello che fanno? Difatti dalla croce Gesù pregò: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Luca 23,34) lasciando intendere che in molti manca la piena avvertenza. Si parla di dannati in una parabola («il ricco stando nell’inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui») in Luca 16,23, ma non di dannati reali. Mentre il primo beato reale è un malfattore che si converte (Luca 23,43). Siamo noi in realtà che vorremmo un “vendetta” divina, ma Dio è amore. «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?» (Luca 9,54). Difatti – come dice il Vangelo –  Gesù si voltò e li rimproverò. Von Balthasar ricorda di non confondere speranza e conoscenza. Sperare nella apokatastasis – la salvezza di tutti – non vuole dire sapere se l’inferno sia vuoto o no. La possibilità dell’Inferno è però una conseguenza della libertà umana. O l’uomo è libero – e quindi può anche dannarsi – o non è libero. Scrive il cardinale Biffi: «La concreta possibilità della dannazione è necessaria, se si vuol continuare ad ammettere la libertà creata nella sua vera essenza. La libertà dell’uomo non può ridursi alla possibilità di scegliere tra un luogo e l’altro di villeggiatura o tra una cravatta a righe e una a pois; e neppure di scegliere la moglie o il partito politico: la nostra libertà, nel suo significato più profondo, è la spaventosa e stupenda prerogativa di poter costruire il nostro destino eterno. Per non essere puramente nominale, questa prerogativa deve necessariamente includere la reale e concreta possibilità di decidere per la perdizione. Come si vede, il mistero della dannazione è essenzialmente connesso col mistero della libertà, che è forse l’unico vero mistero dell’universo creato». Essi, ancora più sbigottiti, dicevano tra loro: «E chi mai si può salvare?». Ma Gesù, guardandoli, disse: «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio». (Marco 10,26-27) Dio non può che amare.

Secondo Dante Alighieri vi sono sei papi all’Inferno. Nella «Divina Commedia» sono: Niccolò III (Giovanni Gaetano Orsini, 1277-1280) nella terza bolgia dell’ottavo girone dell’Inferno, per i simoniaci (venditori di cose spirituali) insieme a Bonifacio VIII (Benedetto Caetani, 1294-1303) e papa Clemente V (Betrand de Gouth, 1305-1314). Bonifacio VIII è citato anche nella bolgia VIII per i consiglieri fraudolenti insieme a papa Silvestro I (314-335). Nel sesto cerchio vi è papa Anastasio II (496-498) con gli eretici. Infine papa Celestino V (Pietro Angeleri, 1294) nell’antinferno con gli ignavi. Di questi papi Celestino V è santo.

L’inferno esiste anche nella fede dell’Islam e del Buddhismo. La Fang Yen-Kou è infatti la cerimonia buddhista cinese per liberare le “bocche brucianti”, un tipo di spiriti affamati chiamati preta. I monaci aprono le porte dell’inferno, il naraka, attraverso il suono delle campanelle (gantha). Versano acqua dolcificata e consacrata per le “bocche brucianti” che possono così prendere rifugio nei tre gioielli buddhisti (triratna): Buddha, dharma (gli insegnamenti del Buddha) e sangha (comunità). A questo punto i preta possono rinascere come esseri umani nella “terra pura della beatitudine” (sukhavati).

Nessuna chance di riscatto invece nella fede islamica e in quella cristiana (Luca 16,26: “Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi”).

Giorgio Nadali


Aldilà & Curiosità. Tutto ciò che avreste sempre voluto sapere sull’oltretomba

di Giorgio Nadali 

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ZOMBIE  (Vodou)

I film dell’orrore li hanno resi celebri. Sono i morti viventi. Per il culto animista del Vodou di Haiti esistono veramente. Per capire in quale contesto si inserisce il vero zombi, dobbiamo ricordare che Vodou vuol dire “spirito”.  Il Vodou anima la società di Haiti. Sebbene quando si pensa al Vodou ci viene istintivamente in mente qualcosa che ha a che fare con la magia nera e la stregoneria, il Vodou è qualcosa di più complesso e profondo.  E’ la religione popolare di Haiti, che si è formata attraverso la commistione di antiche credenze di origine africana (Benin). Per Mons. Guy Poulard, vescovo di Haiti, una buona parte della popolazione partecipa ai riti Vodou di notte e a quelli cattolici di giorno. La forza del Vodou può essere usata per il male, ma anche per il bene. Ad Haiti vi è un rapporto molto particolare con i propri defunti. I bambini giocano sulle tombe di famiglia situate nel giardino di casa, buone anche per stendervi la biancheria lavata. La zombificazione di una persona è una forma di stregoneria del Voodoo di Haiti. Consiste in una morte apparente per togliere la libertà ad una persona, non più meritata a causa di qualche gesto grave compiuto, come l’omicidio o lo stupro. Chi ha subito un torto può rivolgersi ad uno stregone Voodoo, chiamato bokor. Lo zombie diverrà come uno schiavo. Potrà essere venduto e comprato.  Se la persona che ha acquistato lo zombie muore, allora potrà riscattarsi (mediante una pozione antidoto), ma non potrà tornare al suo villaggio di origine, poiché è stato condannato. Come avviene la condanna per zombificazione? Tecnicamente attraverso una neurotossina che induce una forma catalettica che prelude ad un avvelenamento successivo più grave e talvolta alla morte. Mediante dei rospi di tipo amazzonico (Bufo alvarius, Bufo marinus) oppure il veleno del pesce palla, si estrae la bufotenina (5-MEO-DIMETILTRIPTAMMINA), o tetradotoxina (TTX), da cinquanta a cento volte più potente della digitale. Il condannato sembra clinicamente morto e viene seppellito ancora cosciente. Di notte il corpo dello zombie viene risvegliato dal bokor in un cimitero, con un’altra sostanza che cancellerà la personalità del condannato e lo renderà un automa, suo schiavo. Sarà senza memoria e volontà, con occhi vitrei e voce nasale. Potrà essere venduto. L’antidoto usato è la datura, una pianta che contiene nei semi e nei fiori degli alcaloidi come la scopolamina e l’atropina. Alcaloidi che producono effetti di controllo mentale. La parola zombie deriva da quella creola Nzambi, una divinità dell’Africa occidentale. La pratica di zombificazione non è molto frequente ed esiste ancora oggi, ma il governo haitiano non ha alcun controllo su queste pratiche clandestine e illegali. La zombificazione spaventa molto la gente di Haiti, anche perché ricorda l’antica schiavitù. Il cinema si è ispirato a questa pratica reale per i film sugli zombie.

CIMITERI (Cristianesimo)

I luoghi di sepoltura si chiamavano anticamente “Necropoli”, cioè “Città dei morti”. Con la nascita del Cristianesimo il termine è mutato in “cimiteri”. Questa parola proviene dal greco koimetérion, “luogo di riposo”: il verbo κοιμᾶν (“koimân”) significa “fare addormentare”. Questo è dovuto alla fede cristiana nella risurrezione di coloro che vi sono sepolti, che si risveglieranno per la risurrezione, secondo la promessa di Gesù nel Vangelo di Giovanni 6,40.

INDULGENZE (Cristianesimo cattolico)      

La dottrina dell’indulgenza è nata in ambito cattolico si riferisce alla credenza nella possibilità di cancellare una parte ben precisa delle conseguenze di un peccato (detta pena temporale), dal peccatore che abbia confessato sinceramente il suo errore e sia stato perdonato tramite il sacramento della confessione. A seguito della riforma protestante, che contestò questa dottrina sostenendo che essa non abbia un fondamento nella Bibbia, rimase un uso prettamente cattolico. La vendita delle indulgenze spaccò la Chiesa con la Riforma protestante di Martin Lutero, nel 1517, il quale rifiutava il valore delle indulgenze e soprattutto il fatto di offrirle a seguito di un’offerta di denaro. Con la vendita delle indulgenze è stata edificata la Basilica di San Pietro in Vaticano. Ancora oggi si dice “lucrare un’indulgenza”, da “lucro”, cioè denaro. Ovviamente le condizioni non riguardano più il denaro per acquistare la bolla di indulgenza. Lucra validamente un’indulgenza chi riceve il Sacramento della Riconciliazione (Confessione), l’Eucaristia, recita il Credo, prega secondo le intenzioni del Papa. Chi muore martire o dovesse morire subito dopo aver lucrato validamente un’indulgenza plenaria va direttamente in Paradiso senza passare dal Purgatorio. Quest’ultimo è presente solo nella dottrina cattolica. Il martire “lava” la sua anima dalle pene del Purgatorio col proprio sangue versato a causa diretta ed evidente della sua fede in Cristo. L’ultima martire canonizzata in Italia (nel 1950 da Papa Pio XII) è stata la dodicenne Maria Goretti.

CREMAZIONE (Induismo)         

Il funerale può incominciare anche da vivi, col rito dello adya-shrada. Chi non ha figli che possano occuparsi del rito funerario al momento della propria morte o chi ritiene che il proprio funerale non verrà fatto per qualche ragione, può chiedere il rito funerario anticipato (…senza cremazione, ovviamente), chiamato appunto adya-shrada. Normalmente però il rito funerario avviene da morti. E’ il sedicesimo sacramento dell’Induismo, chiamato antyeshti, cioè “cremazione”. Le norme per il rito sono contenute nel testo Aswalayana Grhya Sutra. Gli uomini sono avvolti in un sudario bianco o color zafferano e le donne in uno rosso. Il volto è cosparso da polvere rossa (sindur) simbolo del sacro. Se il defunto è un uomo, il rito verrà officiato da uomini (parenti e amici), se è il defunto è donna, verrà officiato da donne. Per la cremazione vengono utilizzati alcuni ingredienti: muschio, zafferano, legno di sandalo, canfora, legna da ardere, burro chiarificato (detto ghi). La cremazione avviene sempre sulla riva di un fiume. Al termine del processo di combustione, che può durare dalle due alle tre ore e mezza, le ceneri saranno affidate alle acque fluviali. Il corpo è deposto su una kunda (una struttura rettangolare di pietra con un buco nel centro) sulla quale vengono deposte tre cataste di legna e della paglia. Il volto del defunto deve sempre essere rivolto a Nord. Se è uomo, dev’essere prima sbarbato. Il fuoco viene appiccato sempre a partire da Nord. Dev’essere accesa una lampada alimentata dal burro ghi e da questa fiamma va accesa della canfora, la quale a sua volta accenderà la pira. Alla salma vengono rivolte le parole: “Caro defunto!

Dopo la morte, possa il potere della tua vista essere assorbito nel sole, la tua anima nell’atmosfera, possa tu andare nella regione luminosa della terra, secondo i tuoi meriti spirituali, o và alle acque, se quello è il tuo luogo, o alle piante, assumendo corpi diversi”.  Nel 1829 venne abolita la pratica della “sati”. Una vedova si immolava da viva sulla pira funeraria del marito a simbolo del suo essere priva del suo valore in sé, senza il marito. Questa pratica è ancora in uso in forma clandestina nell’India rurale. E’ segno di amore immortale e purifica la coppia dai peccati accumulati

 

PURGATORIO (Cristianesimo cattolico)

La fede nell’esistenza del Purgatorio è esclusiva del cattolicesimo. A Lione (Francia) il 7 maggio 1274 si apre il 14° Concilio ecumenico. Viene fissato il dogma del Purgatorio, che sarà confermato dai Concili di Basilea, Firenze, Ferrara e Roma (1431-1449) e dal Concilio di Trento (1545-1563) come “luogo e condizione in cui le anime dei morti, giustificati, ma ancora in condizione di peccato, si trovano per completare la purificazione prima di ascendere in paradiso.”

TOMBE EBRAICHE            (Ebraismo)

Gli ebrei non mettono fiori sulle tombe, ma sassolini perché ricordano le sepolture  affrettate nel deserto al tempo dell’Esodo dall’Egitto (1200 a.C.). Inoltre nella simbologia ebraica, la roccia simboleggia Dio. Il popolo di Israele nell’antichità trascorreva molto tempo nelle zone aride del deserto. Abramo, Isacco, Giacobbe e Lot erano pastori nomadi. Per ritrovare i luoghi dove erano sepolti i loro defunti erigevano delle piccole montagnole di pietre.

ISLAM E DEFUNTI DONNA (Islam)

Muhammad (Maometto) disse: “Mi è stato mostrato il fuoco dell’Inferno e che la maggioranza dei suoi abitanti sono donne”.

TOMBA E CULLA (Cristianesimo)

San Girolamo disse: “La tomba vuota è la culla del Cristianesimo” intendendo con questo che il Cristianesimo nasce con la tomba vuota per la risurrezione di Cristo. Ma disse anche che una donna cessa di essere tale e può essere chiamata uomo quando vuol servire più Cristo che il mondo (Comm. ad Ephesios III,5).

MING BI (Taoismo)

I jīnzhǐ (o míng bì, “denaro dell’ombra”) sono oggetti di carta di bambù o carta di riso, noti anche come “carta degli spiriti”. Modellini di auto, case, ma soprattutto soldi finti con la scritta in cinese e in inglese “Hell banknotes”, cioè “Banconote dell’Inferno”, lo “Hell Passport”, il “Passaporto per l’Inferno” e addirittura un biglietto aereo finto con la scritta “Hell Airlines”, Linee Aeree dell’Inferno. I fedeli li comprano nel “negozio di carta per il mondo degli spiriti”, che si trova spesso vicino ad un tempio taoista e li bruciano – dopo averle ben piegate – in un apposito piccolo forno dentro il tempio. In questo modo i propri defunti avranno molte cose nell’aldilà e saranno liberi dall’inferno. L’immagine sulle banconote è dell’imperatore di giada, Yù Huáng, guardiano dell’aldilà. L’esatta parola cinese sulle banconote è diyu, che significa “prigione ultaterrena”. I jīnzhǐ vengono in genere bruciati insieme ai yunbao, piccoli lingotti d’oro finti. Attenzione. E’ molto offensivo darne una a una persona vivente. Esistono anche le Paradise Banknotes, banconote (finte) per il paradiso, bruciate in onore degli déi taoisti. Dal 2006 in Cina è però proibito dal ministero per gli affari civili bruciare i modellini di carta di auto e case perché è ritenuta una pratica feudale.   

 

CHIESA E INFERNO  (Cristianesimo cattolico)

La Chiesa non cita alcun nome di persona che sia con certezza all’Inferno. Non si può sapere se un pentimento possa essere giunto anche negli ultimi istanti di vita come è narrato nel Vangelo per uno dei condannati alla crocifissione accanto a Gesù. Solo Dante Alighieri nella Divina Commedia fa dei nomi di persone che lui riteneva fossero dannate. La Chiesa fa nomi certi di persone solo per il Paradiso. Questo vale per tutte le Chiese cristiane – ortodossi, cattolici, anglicani, protestanti.

Papi all’Inferno

Secondo Dante Alighieri vi sono 6 papi all’Inferno. Nella “La Divina Commedia” sono: Niccolò III (Giovanni Gaetano Orsini, 1277-1280) nella terza bolgia dell’ottavo girone dell’Inferno, per i simoniaci (venditori di cose spirituali) insieme a Bonifacio VIII (Benedetto Caetani, 1294-1303) e papa Clemente V (Betrand de Gouth, 1305-1314). Bonifacio VIII è citato anche nella bolgia VIII per i consiglieri fraudolenti insieme a papa Silvestro I (314-335). Nel sesto cerchio vi è papa Anastasio II (496-498) con gli eretici. Infine papa Celestino V (Pietro Angeleri, 1294) nell’antinferno con gli ignavi. Di questi papi Celestino V è santo.

MARTIRI (Cristianesimo, Islam)        

E’ una delle massime aspirazioni per ogni uomo musulmano. Non solo fondamentalista. Si chiama talab alsahada, l’aspirazione a diventare un sahada (un martire). E questo, a differenza del martirio cristiano (che significa perdere la propria vita a causa della fedeltà a Cristo), vuol dire quasi sempre far morire anche altre persone in nome dell’Islam. Il conflitto israelo-palestinese ne ha conosciuti molti negli ultimi anni. Campi specializzati addestrano giovani celibi, pronti a morire in mezzo ai discendenti di Davide, imbottiti di esplosivo, per la causa dell’Islam. Un martire è già puro. Morendo per l’Islam uccidendo altre persone, ha il Paradiso garantito. E non un Paradiso qualsiasi. Uno molto sensuale: “Invece i timorati di Dio staranno in luogo sicuro – fra giardini e fontane – rivestiti di seta e di broccato, faccia a faccia. Così sarà. E daremo loro in ispose fanciulle dai grandi occhi neri, – e là chiederanno ogni sorta di frutti e ne godranno sicuri”. (Sura del fumo “ad-Dukhan” XLIV,51-54) 

Nel Cristianesimo invece il martire è un testimone (dal greco martyrion) della fede, a costo della propria vita. Il detto “vita, morte e miracoli” deriva proprio dal processo per dichiarare santo (canonizzare) un fedele. Vengono infatti esaminate la vita, il momento della morte e almeno un miracolo avvenuto per sua intercessione sua. Solo per i martiri il miracolo non viene più richiesto, per volontà di papa Paolo VI. L’ultima martire canonizzata in Italia (nel 1950 da Papa Pio XII) è stata la dodicenne Maria Goretti.

DEFUNTI DA BERE            (Religione tribale Yanomami)

Gli indigeni Yanomami del Sud America non seppelliscono i defunti. Li cremano e mescolano le ceneri con una bevanda alla banana. Il parente più prossimo poi beve la miscela. In questo modo lo spirito del defunto è soddisfatto e non torna a tormentarli.

PARADISO ISLAMICO (Islam)  

Le Huri, ḥūr o ḥūrīyah secondo la tradizione islamica sono delle fanciulle che attendono nel paradiso coloro che nel giorno del giudizio arriveranno lì. Secondo la tradizione le Huri sarebbero giovani ragazze perennemente vergini il cui compito sarebbe quello di ricompensare l’uomo arrivato nel paradiso. Sempre secondo la tradizione, le giovani avrebbero la capacità di concepire e generare. Per il sesso femminile esistono ugualmente gli ghulām. Nel Corano la parola hûr  indica le giovani fanciulle vergine promesse ai credenti. La radice di questa parola è collegata all’idea di “bianchezza” in particolare ai grandi occhi della gazzella e al contrasto tra il bianco dell’occhio e il nero della pupilla, hawrâ’ è una donna dai grandi occhi neri e dalla pelle molto chiara. Quasi tutti i versetti che parlano di hûrî sono del periodo meccano, quando è particolarmente sentito da Muhammad il tema del Giudizio Universale. I versetti coranici ci dicono che non sono mai state toccate né dagli uomini né dai jinn, la sostanza da cui sono state create per alcuni è lo zafferano, per altri sono di zafferano, muschio, canfora e ambra. I loro muscoli sono delicati e i loro tendini paiono fatti di fili di seta. Sui loro seni sono iscritti due nomi: da una parte quello Dio, sull’altro quello del proprio marito. Vivono in castelli con 70 letti, hanno 33 anni come i loro mariti, la loro verginità viene rinnovata eternamente, il loro corpo è sempre puro, non hanno mestruazioni, bisogni umani. Le donne che in vita sono state virtuose in Paradiso si ricongiungeranno al proprio marito e lì continueranno la loro vita insieme. Se una donna in vita ha avuto più mariti ne sceglierà uno, mentre gli uomini poligami avranno diritto a tutte le mogli legittime. I commentatori però non dicono nulla sulla sorte di quelle donne che andranno in Paradiso, ma che in vita non sono state sposate. Su questa base coranica la tradizione ha aggiunto dettagli dando alle hûrî un carattere molto sensuale. Non tutti gli esegeti hanno accettato questa idea prettamente materialista, al-Baydâwî dice che non si possono fare raffronti tra il godimento del cibo, delle hûrî, la condizione umana terrena è altra rispet-to a quella del Paradiso, certo è che la mentalità popolare musulmana è permeata da questi concetti. E’ solo in un hadîth che si parla delle 70 vergini che attendono tutti gli eletti, non solo i martiri.

DONNA E REINCARNAZIONE   (Buddhismo)

 

Secondo il canone Pali delle scritture sacre buddhiste, un essere si reincarna donna se ha fatto qualcosa di grave nella vita precedente. Esiste il detto: “Ho ottenuto un corpo di donna perché ho commesso il male in una passata esistenza”

 

RISURREZIONE (Cristianesimo)

 

Risurrezione del nostro corpo. Come sarà? La dottrina della risurrezione è presente anche nell’Ebraismo e nell’Islam.

Il Signore Gesù Cristo ce lo ha promesso:  «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno». (Gv 6,54). Appartiene al dogma della risurrezione che essa avvenga coi corpi che abbiamo ora (“cum suis propiis resurgent corporibus quae nunc gestant” – IV Concilio del Laterano – e “in hac carne, qua nunc vivimus” – Fidei Damasi). Il corpo sarà non solo specificamente lo stesso (il corpo che ho ora). Con questa affermazione, si evita ogni modo di pensare che suggerisca una metempsicosi o una tramigrazione delle anime da un corpo all’altro… Vi sono tre ipotesi teologiche sul come riavremo il nostro corpo il giorno della risurrezione. Gesù Cristo promette che questo avverrà alla fine dei tempi. In Giovanni 6:54 dice: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Le ipotesi sulla nostra risurrezione sono:

Identità materiale – perché il corpo sia numericamente lo stesso, si richiederebbe che fosse composto nella stessa materia. Intesa in tutto il suo di rigore, la teoria difficilmente accettabile. D’altra parte, il principio secondo il quale un’identità materiale necessaria perché il corpo possa essere considerato lo stesso, è scientificamente assai discutibile. Dato il metabolismo costante del corpo umano, il mio corpo attuale ha rinnovato totalmente la sua materia da com’era sette anni or sono; e tuttavia, penso con ragione che sia rimasto realmente lo stesso corpo.

Identità formale – una teoria che si colloca all’estremo opposto sarebbe quella proposta, già nel Medio Evo da Durando di San Porciano (+ 1334). Durando suppone che, quale sia la materia di cui è composto un corpo, è il mio corpo per il fatto medesimo che esso s’unisce la mia anima… Bisogna riconoscere che, esposta in questo modo e senza altri particolari, questa teoria lascia l’impressione di una certa somiglianza con la teoria della trasmigrazione delle anime… Joseph Ratzinger [attuale papa Benedetto XVI, n.d.A.] pensa che non sia necessaria la stessa materia perché il corpo possa essere considerato lo stesso, e ha fatto notare che tutta la tradizione ecclesiastica (dottrinale e liturgica) impone come limite che il corpo risuscitato deve includere le reliquie dell’antico corpo terreno, se si esistono ancora come tali quando avviene la risurrezione. Tali “reliquie” saranno nuovamente animate dall’anima santa al corpo della quale appartennero. D’altra parte, insistendo sul fatto che la nostra risurrezione gloriosa non può essere spiegata senza un parallelismo con la risurrezione di Gesù, pare necessario affermare, come secondo limite, una certa continuità di somiglianza morfologica col corpo mortale.

Identità sostanziale – Alois Winklhofer ha proposto, recentemente una nuova ipotesi… di fronte a un cadavere che comincia a corrompersi, Dio sottrae e conserva separatamente questa sostanza non fenomenologica del corpo. Il cadavere, a dispetto della sua continuità fenomenologica col mio corpo, non sarebbe più, in questo caso, il mio corpo. Al contrario, partendo dalla sostanza non fenomenologica del mio corpo, Dio ricostruirebbe il mio corpo risuscitato; e appunto la permanenza di questa sostanza (l’identità sostanziale) farebbe sì che sia il mio corpo e non un altro.

 Inferno. Facile o difficile?

 «Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli». (Matteo 25,41). Sono le parole di Cristo riguardo la minaccia della dannazione eterna. Tra le più dure pronunciate  da Gesù nei Vangeli. Cosa hanno fatto le persone nella narrazione evangelica? Hanno fallito o rifiutato tutte le occasioni di amare disinteressatamente il prossimo. Qualcuno parla però della teoria dell’”Inferno vuoto”. Cos’è? E’ la tesi di un grande teologo e cardinale svizzero scomparso nel 1988. Hans Urs von Balthasar. La tesi di von Balthasar afferma che sperare la salvezza eterna di tutti gli uomini non è contrario alla fede. Essa si avvale dell’autorità di alcuni Padri della Chiesa, tra i quali Origene e Gregorio Nisseno, ed è condivisa da diversi teologi contemporanei, tra i quali Jean Daniélou, Henry de Lubac, Joseph Ratzinger – l’attuale Papa –  Walter Kasper, Romano Guardini. Da scrittori cattolici come  Paul Claudel, Gabriel Marcel e Lèon Bloy. La Chiesa afferma che chi muore in peccato mortale non si salva, ma non dice se questo sia mai avvenuto. Difatti non ha mai fatto nomi di dannati, come invece si è permesso di fare Dante Alighieri – secondo il suo parere – nella Divina Commedia. E tra questi ben 6 papi! Niccolò III (Giovanni Gaetano Orsini, 1277-1280), posto nella terza bolgia dell’ottavo girone, con i simoniaci (venditori di cose spirituali) insieme a Bonifacio VIII (Benedetto Caetani, 1294-1303), papa Clemente V (Betrand de Gouth, 1305-1314), Bonifacio VIII è citato anche nella bolgia VIII per i consiglieri fraudolenti insieme a papa Silvestro I (314-335). Nel sesto cerchio vi è papa Anastasio II (496-498) con gli eretici. Infine il papa dimissionario Celestino V (Pietro Angeleri, 1294)  nell’antinferno con gli ignavi. La Chiesa lo ha invece dichiarato santo. Ma torniamo al peccato mortale. Scrive San Tommaso d’Aquino: «Quando la volontà si orienta verso una cosa di per sé contraria alla carità, dalla quale siamo ordinati al fine ultimo, il peccato, per il suo stesso oggetto, ha di che essere mortale… tanto se è contro l’amore di Dio, come la bestemmia, lo spergiuro, ecc., quanto se è contro l’amore del prossimo, come l’omicidio, l’adulterio, ecc… Invece, quando la volontà del peccatore si volge a una cosa che ha in sé un disordine, ma tuttavia non va contro l’amore di Dio e del prossimo — è il caso di parole oziose, di riso inopportuno, ecc. —, tali peccati sono veniali».

Per il peccato mortale occorrono 3 (difficili) condizioni: Piena avvertenza (mi rendo pienamente conto di ciò che faccio), Materia grave (contro uno dei Comandamenti), Deliberato consenso (il mio atto è assolutamente libero da qualsiasi condizionamento). Condizioni difficili da soddisfare umanamente tutte insieme. Quanti sanno quello che fanno? Difatti dalla croce Gesù pregò: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34) lasciando intendere che in molti manca la piena avvertenza. Si parla di dannati in una parabola (il ricco stando nell’inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui) in Luca 16,23, ma non di dannati reali. Mentre il primo beato reale è un malfattore che si converte (Luca 23,43). Siamo noi in realtà che vorremmo un “vendetta” divina, ma Dio è amore. «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?» (Luca 9,54). Difatti – come dice il Vangelo –  Gesù si voltò e li rimproverò. Von Balthasar ricorda di non confondere speranza e conoscenza. Sperare nella apokatastasis – la salvezza di tutti – non vuole dire sapere se l’inferno sia vuoto o no. La possibilità dell’Inferno è però una conseguenza della libertà umana. O l’uomo è libero – e quindi può anche dannarsi – o non è libero. Scrive il cardinale Biffi: «La concreta possibilità della dannazione è necessaria, se si vuol continuare ad ammettere la libertà creata nella sua vera essenza. La libertà dell’uomo non può ridursi alla possibilità di scegliere tra un luogo e l’altro di villeggiatura o tra una cravatta a righe e una cravatta a pois; e neppure di scegliere la moglie o il partito politico: la nostra libertà, nel suo significato più profondo, è la spaventosa e stupenda prerogativa di poter costruire il nostro destino eterno. Per non essere puramente nominale, questa prerogativa deve necessariamente includere la reale e concreta possibilità di decidere per la perdizione. Come si vede, il mistero della dannazione è essenzialmente connesso col mistero della libertà, che è forse l’unico vero mistero dell’universo creato». Nell’Islam Allah descrive in modo raccapricciante gli orrori dell’inferno – acqua bollente, scudisci di ferro (vv. 19-22). Secondo un hadith, Maometto dice che ogni mille persone, 999 saranno mandate all’inferno. In quel Giorno, Adamo chiederà ad Allah: “O Allah! Quanti sono i dannati al Fuoco?” Allah risponderà: “Da ogni migliaio, togline nove-cento-novanta-nove”. Maometto spiegò che quell’unica persona salvata sarebbe stata un Musulmano, dicendo ai suoi compagni: “Gioite per le buone notizie; una persona sarà delle vostre e mille di Gog e Magog”. Noi crediamo in un Dio più misericordioso: Essi, ancora più sbigottiti, dicevano tra loro: «E chi mai si può salvare?». Ma Gesù, guardandoli, disse: «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio». (Marco 10,26-27) Dio non può che amare.

Giorgio Nadali 

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Risorgeremo. Ma come?

 Di Giorgio Nadali       www.giorgionadali.it 

 “Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. (Giovanni 6,40)

 “E questa è la promessa che egli ci ha fatta: la vita eterna”. (1Giovanni 2:25)

 “E’ seminato corpo naturale e risuscita corpo spirituale”. (1Corinzi 15:44)

 Nella risurrezione dei corpi noi avremo un corpo trasfigurato e spirituale (un solido fatto di respiro d’anima – pneuma = soffio di spirito – capace di ubiquità senza ostacoli) consimile al corpo che nel cielo hanno Cristo e la Madonna.

Quindi dopo la risurrezione le nostre anime (ectoplasmi incorporei), che ora non hanno corpo, ne avranno uno che ricorderà solo nella forma (nei lineamenti) il corpo terrestre.

Il corpo spirituale (integro in tutte le sue forme (cioè “formale” e non materiale) è un corpo molto diverso dal nostro fisico, perché è capace di sentire – partecipare – avere volume, ma non carne animale in quanto privo di qualsiasi possibilità di peccare o turbarsi in senso negativo.

Il corpo di Gesù, che ha dato anche la possibilità, dopo risorto, di essere toccato nel costato da San Tommaso, ed ha dimostrato di nutrirsi insieme agli altri apostoli, è di natura gloriosa (materia spiritualizzata e trasfigurata dallo Spirito Santo).

Il corpo di Gesù è Glorioso, tangibile ma spiritualmente Perfetto, assolutamente esente dai difetti della materia.

La volontà e l’essenza, purissima – perfetta e luminosissima, ne hanno fatto, nel mistero incommensurabile delle possibilità divine, preziosissima qualità d’amore e di bene.

Così è anche il corpo della Regina del Cielo, perché è così che Ella si è fatta sentire nell’abbraccio ricevuto dai veggenti in una delle sue tante apparizioni.

          IL CODICE DI DIRITTO CANONICO DAL 1983 PERMETTE E CONSENTE LA CREMAZIONE

L’ABBRUCIAMENTO DEL CADAVERE NON PUO’ NUOCERE ALL’ANIMA, PERCHE’ IL MODO DI RITORNARE ALLA POLVERE E’ SOLO QUESTIONE DI DIFFERENZA DI TEMPO

PUR NON PROIBENDO LA CREMAZIONE, LA CHIESA RACCOMANDA IL SEPPELLIMENTO E LA TUMULAZIONE, PERCHE’ LA LENTA TRASFORMAZIONE NATURALE AIUTA A SENTIRSI MAGGIORMENTE E FIGURATIVAMENTE ANCORA COLLEGATI AL CORPO DELLA PERSONA CHE NON C’E’ PIU’

LE SOLE CENERI IMPRIMONO, INVECE, UNO STACCO NETTO.

In contrasto con la negazione della resurrezione da parte dei Sadducei, che accettavano soltanto i primi cinque libri dell’AT (il Pentateuco ), Gesù insegna che la resurrezione finale avrà luogo grazie al potere di Dio, che è un Dio dei viventi, il «Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe» ( Mt 22,32; cfr. Es 3,6). Nel far questo, Gesù ricollega le radici del credo nella resurrezione (cioè la fede nell’onnipotenza e nella sovranità di Dio su tutto l’ordine creato) indietro fino al libro dell’Esodo, accettato dagli stessi Sadducei che negavano la resurrezione. Tuttavia, diversamente dall’insegnamento dei Farisei, Gesù afferma che chi risorge non ritorna ad uno stato di terreno o corruttibile, bensì possederà uno stato trasfigurato, glorificato, perché «alla resurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo» ( Mt 22,30).

In secondo luogo – e questo è l’elemento più specifico della dottrina del NT – la resurrezione avrà luogo non solo grazie al potere vivificante di Dio in genere, ma in virtù della resurrezione di Gesù Cristo dalla morte, con la forza dello Spirito Santo. La resurrezione di Gesù fornisce pertanto la promessa, la garanzia, l’esempio e la primizia della resurrezione universale, che può essere considerata come una «estensione della resurrezione di Gesù a tutto il genere umano». In modo più specifico, secondo s. Giovanni, Gesù in persona è «la resurrezione e la vita» ( Gv 11,25), ed egli spiega: «Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso.  Verrà l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene per una resurrezione di vita e quanti fecero il male per una resurrezione di condanna» ( Gv 5,26.28-29).  

Tutti risorgeremo. Alla nostra libertà la decisione se per il Paradiso o per l’Inferno. In entrambe le condizioni il nostro corpo ultraterreno parteciperà alla beatitudine del Paradiso o alle pene dell’Inferno.

S. Paolo insiste ripetutamente sulla dottrina della resurrezione finale (cfr. At , 24,14; 1Ts 4,14-17; Ef 3,1-4; 1Cor , c. 15; ecc.). Cristo è «primogenito fra molti fratelli» ( Rm 8,29; cfr. Col 1,18). Nel c. 15 della Prima Corinzi egli sviluppa l’idea che la resurrezione finale dipende interamente da quella di Gesù Cristo e colloca questo convincimento al centro della fede cristiana, dicendo che «se non esiste resurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti» (vv. 13-14 e 20). E ancora: «come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste» (v. 49). Per Paolo la resurrezione è come anticipata nella vita presente, per coloro che partecipano alla morte e resurrezione di Gesù Cristo mediante il sacramento del Battesimo (cfr. Rm 6,3-11; Ef 2,6).

Come risorgeremo? La Teologia

Appartiene al dogma della risurrezione che essa avvenga coi corpi che abbiamo ora (“cum suis propiis resurgent corporibus quae nunc gestant” – IV Concilio del Laterano – e “in hac carne, qua nunc vivimus” – Fidei Damasi). Il corpo sarà non solo specificamente lo stesso (il corpo che ho ora). Con questa affermazione, si evita ogni modo di pensare che suggerisca una metempsicosi o una tramigrazione delle anime da un corpo all’altro…

Tre ipotesi teologiche sul come riavremo il nostro corpo il giorno della risurrezione

    Gesù Cristo promette che questo avverrà alla fine dei tempi. In Giovanni 6:54 dice: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Le ipotesi sulla nostra risurrezione sono:

Identità materiale – perché il corpo sia numericamente lo stesso, si richiederebbe che fosse composto nella stessa materia. Intesa in tutto il suo di rigore, la teoria difficilmente accettabile. D’altra parte, il principio secondo il quale un’identità materiale necessaria perché il corpo possa essere considerato lo stesso, è scientificamente assai discutibile. Dato il metabolismo costante del corpo umano, il mio corpo attuale ha rinnovato totalmente la sua materia da com’era sette anni or sono; e tuttavia, penso con ragione che sia rimasto realmente lo stesso corpo.

Identità formale – una teoria che si colloca all’estremo opposto sarebbe quella proposta, già nel Medio Evo da Durando di San Porciano (+ 1334). Durando suppone che, quale sia la materia di cui è composto un corpo, è il mio corpo per il fatto medesimo che esso s’unisce la mia anima… Bisogna riconoscere che, esposta in questo modo e senza altri particolari, questa teoria lascia l’impressione di una certa somiglianza con la teoria della trasmigrazione delle anime… Joseph Ratzinger [1][attuale papa Benedetto XVI, n.d.A.] pensa che non sia necessaria la stessa materia perché il corpo possa essere considerato lo stesso, e ha fatto notare che tutta la tradizione ecclesiastica (dottrinale e liturgica) impone come limite che il corpo risuscitato deve includere le reliquie dell’antico corpo terreno, se si esistono ancora come tali quando avviene la risurrezione. Tali “reliquie” saranno nuovamente animate dall’anima santa al corpo della quale appartennero. D’altra parte, insistendo sul fatto che la nostra risurrezione gloriosa non può essere spiegata senza un parallelismo con la risurrezione di Gesù, pare necessario affermare, come secondo limite, una certa continuità di somiglianza morfologica col corpo mortale. 

Alcuni autori medievali, come Durando di s. Porziano (1270 ca.-1334), hanno suggerito che l'”identità formale“, riguardante essenzialmente l’identità dell’anima umana, «unica forma del corpo», sarebbe sufficiente ad assicurare l’integrità del medesimo corpo umano nella resurrezione (cfr. In IV Sent. , d. 44, q. 1). L’ipotesi è stata ripresa in tempi recenti da neo-tomisti quali Hettinger, Scheel, Billot, Michel, Feuling. Tale posizione in realtà non è lontana da quella di Origene, basata sulla comprensione paolina della resurrezione come lo sviluppo di un seme (cfr. 1Cor 15,35), o come la presenza di un’immagine spirituale (gr. eîdos ) che non cambia durante tutte le trasformazioni cui soggiace la vita umana e che persisterà dopo la glorificazione. Tale visione, tuttavia, riteniamo non tributi un sufficiente realismo alla resurrezione di Gesù, avvenuta «il terzo giorno». Essa non tiene sufficientemente conto delle implicazioni escatologiche della perenne prassi liturgica di venerare le reliquie dei santi (cfr. DH 1822; Ratzinger, 1957), ed il significato del dogma dell’assunzione in cielo di Maria, madre di Gesù (cfr. Ratzinger 1979, pp. 120-122). Già in epoca patristica, inoltre, alla comprensione di Origene della resurrezione in termini alquanto “spiritualisti” si opposero le posizioni di altri autori, come Metodio di Olimpo (m. 310 ca.) e Gregorio di Nissa (335-395) (cfr. Crouzel, 1972; Chadwick, 1948; Daniélou, 1953).

Identità sostanziale – Alois Winklhofer ha proposto, recentemente una nuova ipotesi… di fronte a un cadavere che comincia a corrompersi, Dio sottrae e conserva separatamente questa sostanza non fenomenologica del corpo. Il cadavere, a dispetto della sua continuità fenomenologica col mio corpo, non sarebbe più, in questo caso, il mio corpo. Al contrario, partendo dalla sostanza non fenomenologica del mio corpo, Dio ricostruirebbe il mio corpo risuscitato; e appunto la permanenza di questa sostanza (l’identità sostanziale) farebbe sì che sia il mio corpo e non un altro.

L’identità del corpo risorto. Nonostante il carattere eterno e glorioso del corpo risorto, la fede cristiana predica la sua identità con il corpo terreno. La Chiesa la ha insegnata con insistenza riferendosi non solo alla resurrezione dalla morte generalmente intesa, ma alla resurrezione «di questo corpo», «di questa carne» (cfr. O’Callaghan, 1989a). Il termine «resurrezione» indica proprio tutto ciò, in quanto denota una realtà previa e decaduta che assume una vita nuova e definitiva. Si comprende allora perché le affermazioni dei Padri della Chiesa circa la resurrezione finale avevano una veste così fortemente realistica: «la verità della resurrezione non può essere compresa senza la carne e le ossa, senza il sangue e le membra», diceva s. Girolamo ( Contra Iohannem Hierosolymitanum , 31).

L’identità del corpo risorto con il corpo terrestre, tuttavia, non vuol dire una stretta “identità materiale” fra gli elementi fisici della condizione terrena e quelli oggetto dello stato risorto, come già suggerirono i primi autori cristiani, come Teofilo di Antiochia, Taziano, Atenagora o Ilario di Poitiers. Servendosi dell’immagine del vaso di creta ricostruito ancora una volta, presente nel profeta Geremia (cfr. Ger 18,1-10), Origene aveva spiegato che la materia di cui saranno composti i nostri corpi risuscitati non è necessariamente identica a quella del corpo terreno e che, in ogni caso, la logica di tale trasformazione appartiene al potere creatore di Dio (cfr. Homiliae in Jeremiam , 18, 4). Fra l’altro, non va dimenticato che il semplice metabolismo umano rinnova continuamente, in un ciclo di pochi anni, gli elementi fisici e chimici che compongono la materialità del nostro corpo.

Per approfondire:

Cesare Marcheselli Casale

Risorgeremo, ma come? Risurrezione dei corpi, degli spiriti o dell’uomo?

EDB, Bologna, 1988

Candido Pozo

Teologia dell’Aldilà

Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 1990

Giorgio Nadali

I monaci sugli alberi

E centinaia di altre cose curiose su Dio, la Bibbia, il Vaticano

Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2010

Giorgio Nadali

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[1] Joseph Ratzinger – Auferstehungsleib, LexTheolKirch, 1, 1053