Fare figli e non educarli

di Giorgio Nadali   www.giorgionadali.it

Il dottor Spock ne sarebbe fiero. Non quello di Star Trek, ma Benjamin McLane Spock  – il padre del permissivismo in pedagogia. Così tanti “genitori” biologici – mancando il compito educativo che li renderebbe propriamente tali – lasciano al pargoletto ogni libertà. Tanto, cosa vuoi, è un bambino! Magicamente quando crescerà smetterà di esserlo e come per incanto lo ritroveremo adulto modello. Quello che non rispettava gli adulti da piccolo mai e poi mai ti taglierà la strada ubriaco in tangenziale. I divieti non vanno di moda. E se crescesse frustrato? No, no. Rompi pure le scatole al tuo prossimo. Tanto sei un bambino. E poi – quando sarai un po’ cresciuto – sarai solo un ragazzo! Andiamo, su! Come dirti questo si fa e questo non si fa? Dopotutto, anche per il bravo genitore tutto è relativo. Il bene e il male in quanto tali non esistono come criteri assoluti. E così – con la grande fortuna di avere tali padre e madre – verrai su con quella che Piaget chiamò “morale eteronoma”. E’ una fortuna sai. Anche quando crescerai e avrai 50 anni avrai la morale di quello che non ruba la marmellata perché ha paura che la mamma lo becchi e lo punisca. Tranne poi cercare di fregarla appena possibile. Niente a che fare con quella pallosa “morale autonoma” che dentro di te ti fa rispettare gli altri anche se non ci sono telecamere che ti controllano. No, a te tutto è permesso perché così ti hanno “educato”. Mai una bella sberla, un “stai composto”, “non si grida”, “ti ho detto di no”, “saluta”, “dì per favore e grazie”. Tanto – cosa vuole – è solo un bambino! Così “da grande” quello che vuoi te lo prendi punto e basta. Fosse anche l’illibatezza della prima che ti capita a tiro. Mica devi chiederle il permesso no? Perché è questo essere “grandi”. O no? Confondere la forza con la prepotenza. Eri piccolo e non ti hanno insegnato ad essere grande. Ora sei grande e rimarrai piccolo per sempre. Volere I figli solo per il proprio capriccio. Essere genitori è un’altra cosa. Tale padre tale figlio. La società ringrazia.

Giorgio Nadali

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Clero e pedofilia. Chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me…

Di Giorgio Nadali  www.giorgionadali.it

Chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me, meglio per lui sarebbe che gli fosse appesa al collo una macina da mulino e fosse gettato in fondo al mare. Mt 18:6. 

L’antipapa Giovanni XXIII (1410 – 1415) giudicato pedofilo dal Concilio di Costanza del 1415. Sospetti di pedofilia anche per papa Giulio II (1503 – 1513) che tenne in ostaggio il figlio di 10 anni di Francesco Gonzaga e diede al bambino una rendita mensile di 100 ducati d’oro. Papa Giulio III (1550- 1555) “dedito all’amore per i bambini” nella biografia delle Vite dei pontefici del Platina. In tempi recenti il Cardinale Bernard Law di Boston (USA) fu accusato di coprire per anni due sacerdoti poi condannati per pedofilia, John Geoghan e Paul Shanley. Nel 2002 sono stati 55 i casi di rimozione negli USA di preti pedofili tra cui il vescovo di Palm Beach (USA) Anthony J. O’Connell dimessosi nel 2002.  Attualmente i vescovi gay (tutti della Chiesa Episcopale) sono: Mervyn Castle (Sud Africa), Arthur Mervyn Stockwood (Inghilterra), Derek Rawcliffe (Scozia), David Hope (Inghilterra), Terry Brown (Isole Salomone). Nella Chiesa cattolica sono stati sospesi per sospetta omosessualità i vescovi  Hans Hermann Groer, Rembert Weakland, Juan Carlos Maccarone, Francisco Domingo Barbosa da Silveira,  Thomas Gumbleton (sostenitore di ordinazioni di gay). Vescovi gay vengono ordinati nella Chiesa luterana di Svezia, Chiesa evangelica di Germania,  Chiesa di Norvegia, Chiesa nazionale danese. La prima e unica donna lesbica vescovo è Eva Brunne, della Diocesi (luterana) di Stoccolma (Svezia).

“Anson Shupe, sociologo dell’Indiana-Purdue University, e dai suoi collaboratori. Shupe, un noto esperto di nuovi movimenti religiosi, sostiene da anni che la “criminalità in colletti bianchi” è oggi affiancata, per una serie complessa di ragioni, da una “criminalità clericale”, diffusa presso ministri di tutte le confessioni che comprende anche — se non soprattutto — reati economici e finanziari (3). In tema di abusi sessuali Shupe sostiene — ancora in uno studio inedito presentato al convegno di San Francisco — che questi sono più diffusi fra il clero cattolico che altrove, anche se le cifre correnti sono certamente esagerate. Il sociologo dell’Indiana peraltro non è convinto che il celibato o la tolleranza dell’omosessualità spieghino il fenomeno: infatti alcune denominazioni al cui clero non viene richiesto il celibato — episcopaliani, avventisti — o che attaccano in modo militante le campagne per i diritti degli omosessuali — mormoni — avrebbero percentuali di rischio simili alla Chiesa cattolica. Il problema, ritiene Shupe, è che la Chiesa cattolica — come la Chiesa mormone o quella episcopaliana — è una struttura piramidale, gerarchica, con un sistema che tende naturalmente, a prescindere dalle buone intenzioni individuali, a proteggere una figura religiosa quando è attaccata dall’esterno. Questa dinamica, se ha portato in altri settori vantaggi alle Chiese organizzate in modo più gerarchico, avrebbe anche permesso ai pedofili di sentirsi in qualche modo protetti e tutelati. Shupe pensa che i casi di pedofilia clericale cattolica nell’ultimo trentennio negli Stati Uniti d’America e in Canada siano un paio di migliaia, e coinvolgano intorno all’uno per cento dei sacerdoti e dei religiosi. Ma ammette che le statistiche sono difficili perché, a partire da poche centinaia di condanne, occorre estrapolare e speculare sulla base di sondaggi su quanti casi non sono denunciati — oggi, certo, meno di ieri — per malintesa lealtà verso la Chiesa, per vergogna o per timore di conseguenze negative”. (M. Introvigne, Cristianità n. 282, 1998).

Pedofilo perchè malato.  Non perchè prete. La maggiornaza dei pedofili sono uomini sposati. 

Nel settembre del 2009 l’arcivescovo Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede all’ONU di Ginevra, in una dichiarazione emessa in una riunione del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite a Ginevra, in relazione ai crimini sessuali sui minori, ha dichiarato che nel clero cattolico solo tra l’1,5% e il 5% dei religiosi ha commesso atti di questo tipo. È uscito un libro dal titolo Atti impuri nell’anno 2009 che riporta cifre aggiornate sulla pedofilia nella Chiesa americana. Tra il 1950 e il 2004 si sono registrati undicimila casi documentati di abusi sessuali su minori i cui autori sono preti. Mediamente i preti diocesani implicati negli abusi sono il 4,3 per cento. Alcun anni hanno prodotto percentuali molto alte di preti pedofili. Nel 1963, 1966, 1970, 1970 e nel 1974 si è arrivati all’otto per cento di predatori diocesani, fino al nove per cento del 1975. Nel libro si fanno anche delle estrapolazioni su quelli che possono essere i limiti del fenomeno pedofilia (abusi su minori) nella Chiesa e si stima che i casi sono stimabili in quaranta-sessantamila che farebbero salire il tasso dei preti abusanti a percentuali altissime.

Islam e pedofilia.

Nei paesi islamici ove vige la shari’a l’Unicef valuta in circa 60 milioni i casi di matrimonio tra uomini e bambine, pratica avallata dal Corano che nella sura 65 al-Talâq (il ripudio), versetto 4, fa esplicito riferimento alla possibilità per un uomo di divorziare dalla moglie “che non ha ancora il mestruo”. D’altra parte lo stesso Maometto, di cui ogni azione o comportamento è considerato dai musulmani esemplare e da imitare, quando aveva cinquant’anni sposò ‘A’isha che aveva 6 o 7 anni per consumare il matrimonio 3 anni dopo, come riportato nel Sahih di al-Bukhari, nel Sahih di Muslim e nel Sunan di Abu Da’ud, ben tre delle sei principali raccolte di hadith sunnite. Per denunciare questa situazione l’Unicef ha scelto come foto simbolo del 2007 uno scatto della fotografa americana Stephanie Sinclair che ritrae un afgano quarantenne accanto alla sposa undicenne. Nell’aprile 2008, inoltre, ha avuto vasta eco il caso di una bambina yemenita di otto anni che si è rivolta ad un tribunale per chiedere il divorzio.

Ieri Benedetto XVI si è rivolto direttamente alle vittime nella sua lettera pastorale ai cattolici dell’Irlanda (dove il fenomeno pedofilia nel clero è particolarmente forte): ” Quelli di voi che avete subito abusi nei convitti dovete aver percepito che non vi era modo di fuggire dalle vostre sofferenze. È comprensibile che voi troviate difficile perdonare o essere riconciliati con la Chiesa. A suo nome esprimo apertamente la vergogna e il rimorso che tutti proviamo. Allo stesso tempo vi chiedo di non perdere la speranza. È nella comunione della Chiesa che incontriamo la persona di Gesù Cristo, egli stesso vittima di ingiustizia e di peccato. Come voi, egli porta ancora le ferite del suo ingiusto patire. Egli comprende la profondità della vostra pena e il persistere del suo effetto nelle vostre vite e nei vostri rapporti con altri, compresi i vostri rapporti con la Chiesa. So che alcuni di voi trovano difficile anche entrare in una chiesa dopo quanto è avvenuto. Tuttavia, le stesse ferite di Cristo, trasformate dalle sue sofferenze redentrici, sono gli strumenti grazie ai quali il potere del male è infranto e noi rinasciamo alla vita e alla speranza. Credo fermamente nel potere risanatore del suo amore sacrificale – anche nelle situazioni più buie e senza speranza – che porta la liberazione e la promessa di un nuovo inizio”.

Giorgio Nadali

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La difesa della vita umana dal concepimento alla morte naturale

di Giorgio Nadali

Gandhi diceva: “L’uomo si distrugge con la scienza senza umanita’”. E’ il cuore della bioetica. Quella riflessione etica sulle scoperte scientifiche e sulle relative applicazioni tecnologiche, che ci salva dall’autodistruzione. E’ lo studio sistematico della condotta umana nell’area delle scienze della vita e della cura della salute, quando tale condotta viene esaminata alla luce dei valori e dei princìpi morali. Già, ma quali princìpi? 

 Ad ogni essere umano, dal concepimento alla morte naturale, va riconosciuta la dignità di

persona. Questo principio fondamentale, che esprime un grande « sì » alla vita umana, deve essere

posto al centro della riflessione etica sulla ricerca biomedica, che riveste un’importanza sempre

maggiore nel mondo di oggi. Il Magistero della Chiesa è già intervenuto più volte, al fine di chiarire e risolvere i relativi problemi morali.

• La scienza è buona solo se difende, protegge, sviluppa, aiuta la vita umana, dal concepimento alla morte naturale.
• L’uomo è persona dal concepimento alla morte naturale. La vita umana è un valore assoluto. Non dipende da opinioni, non dipende dal fatto che sia stata voluta o no. Qualsiasi vita umana vale sempre e comunque. Contro questo principio ci sono solo ingiustizie e barbarie.
• L’uomo è sempre soggetto e mai oggetto. La vita umana non può mai essere usata. Non esistono vite meno importanti di altre. Agisci sempre in modo da trattare l’umanità sempre come fine e mai come mezzo (Kant). La persona umana è sempre un fine e mai un mezzo. Ad esempio no è lecito usare e distruggere embrioni di essere umano. Il desiderio di donare la vita deve essere sempre un dono e mai un capriccio in cui il più debole – il bambino chiamato alla vita – paga le conseguenze più alte.
• L’uomo deve sempre preservare la sua vita e quella degli altri.
• Il vero progresso scientifico deve difendere la vita e migliorarla. Non esiste vero progresso contro la dignità della persona umana.
• L’uomo è persona anche quando non può comunicare o non può mostrare la sua intelligenza (perché è in coma o è malato di mente o è ancora un embrione o perché è semplicemente un deficiente). Va comunque sempre rispettato. L’intelligenza è una condizione necessaria ma non sufficiente per essere persona (gli animali sono intelligenti, ma non sono persone). La vita è un diritto. Allora esiste sempre il dovere corrispondente di rispettarla e difenderla. 

Quanti sanno che un cuore già batte a 18 giorni dal concepimento e che il bambino è completo a 12 settimane (3 mesi) e impiega gli altri 6 mesi solo per ingrandirsi?

Quanti sanno cos’è un aborto? Video: http://www.abort73.com/HTML/I-A-4-video.html

La Chiesa cattolica, nel proporre principi e valutazioni morali per la ricerca biomedica sulla vita umana, attinge alla luce sia della ragione sia della fede, contribuendo ad elaborare una visione integrale dell’uomo e della sua vocazione, capace di accogliere tutto ciò che di buono emerge dalle opere degli uomini e dalle varie tradizioni culturali e religiose, che non raramente mostrano una grande riverenza per la vita. Negli ultimi decenni le scienze mediche hanno sviluppato in modo considerevole le loro conoscenze sulla vita umana negli stadi iniziali della sua esistenza. Esse sono giunte a conoscere meglio le strutture biologiche dell’uomo e il processo della sua generazione. Questi sviluppi sono certamente positivi e meritano di essere sostenuti, quando servono a superare o a correggere patologie e concorrono a ristabilire il normale svolgimento dei processi generativi. Essi sono invece negativi, e pertanto non si possono condividere, quando implicano la soppressione di esseri umani o usano mezzi che ledono la dignità della persona oppure sono adottati per finalità contrarie al bene integrale dell’uomo.

È convinzione della Chiesa che ciò che è umano non solamente è accolto e rispettato dalla fede, ma da essa è anche purificato, innalzato e perfezionato. Dio, dopo aver creato l’uomo a sua immagine e somiglianza (cf. Gn 1, 26), ha qualificato la sua creatura come « molto buona » (Gn 1, 31) per poi assumerla nel Figlio (cf. Gv 1, 14). Il Figlio di Dio nel mistero dell’Incarnazione ha confermato la dignità del corpo e dell’anima costitutivi dell’essere umano. Il Cristo non ha disdegnato la corporeità umana, ma ne ha svelato pienamente il significato e il valore: « In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo ».

Alla luce di questi dati di fede, risulta ancor più accentuato e rafforzato il rispetto nei riguardi dell’individuo umano che è richiesto dalla ragione: per questo non c’è contrapposizione tra l’affermazione della dignità e quella della sacralità della vita umana. « I diversi modi secondo cui nella storia Dio ha cura del mondo e dell’uomo, non solo non si escludono tra loro, ma al contrario si sostengono e si compenetrano a vicenda. Tutti scaturiscono e concludono all’eterno disegno sapiente e amoroso con il quale Dio predestina gli uomini “ad essere conformi all’immagine del Figlio suo” (Rm 8, 29) ». Questo valore si applica a tutti indistintamente. Per il solo fatto d’esistere, ogni essere umano deve essere pienamente rispettato. Si deve escludere l’introduzione di criteri di discriminazione, quanto alla dignità, in base allo sviluppo biologico, psichico, culturale o allo stato di salute. Nell’uomo, creato ad immagine di Dio, si riflette, in ogni fase della sua esistenza, « il volto del suo Figlio Unigenito… Questo amore sconfinato e quasi incomprensibile di Dio per l’uomo rivela fino a che punto la persona umana sia degna di essere amata in se stessa, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione — intelligenza, bellezza, salute, giovinezza, integrità e così via. In definitiva, la vita umana è sempre un bene, poiché “essa è nel mondo manifestazione di Dio, segno della sua presenza, orma della sua gloria” (Evangelium vitae, 34) ».

La Chiesa, giudicando della valenza etica di certi risultati delle recenti ricerche della medicina concernenti l’uomo e le sue origini, non interviene nell’ambito proprio della scienza medica come tale, ma richiama tutti gli interessati alla responsabilità etica e sociale del loro operato. Ricorda loro che il valore etico della scienza biomedica si misura con il riferimento sia al rispetto incondizionato dovuto ad ogni essere umano, in tutti i momenti della sua esistenza, sia alla tutela della specificità degli atti personali che trasmettono la vita. L’intervento del Magistero rientra nella sua missione di promuovere la formazione delle coscienze, insegnando autenticamente la verità che è Cristo, e nello stesso tempo dichiarando e confermando autoritativamente i principi dell’ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana.

Esistono visioni lontane dall’insegnamento dalla Chiesa. Vediamole brevemente:

Lo scientismo tecnologico

E’ quella visione che dà una fiducia esagerata alla scienza, senza alcuna riflessione etica.  Confonde il progresso con la scienza. Innanzi tutto il progresso non è solo un fatto legato alla scienza e alla tecnica. Qualsiasi miglioramento della condizione della vita umana, grazie all’arte, alla musica, alla politica, alla sociologia, alla filosofia, agli sforzi per la pace e la giustizia grazie alla religione, alla diplomazia, ecc. costituiscono
un progresso per l’umanità. In campo scientifico e tecnico è progresso (da “pro”-“gradum” = “andare avanti”) solo ciò che difende e migliora la vita dell’uomo e la rispetta nella sua dignità.
Non può essere considerato progresso ciò che danneggia la vita umana. Un cattivo utilizzo della scienza, contro la vita, non è un progresso, e diventa di fatto una violenza tecnologica (abuso delle forze per un fine sbagliato). Lo scientismo tecnologico si illude che ogni problema umano possa essere risolto in chiave tecnologica (dalle cose e non dai valori), dimenticando che l’uomo ha bisogno di significato profondi. nel suo agire (risposte di senso, che la scienza non può dare). In filosofia, lo scientismo è una concezione epistemologica secondo la quale la conoscenza scientifica deve essere il fondamento di tutta la conoscenza in qualunque dominio, anche in etica e in politica. Il termine scientismo è usato spesso in senso dispregiativo, per criticare un dogmatico eccesso di fiducia nel metodo scientifico o negli scienziati. Si vuole criticare così la mancanza di consapevolezza del fatto, supportato dallo studio delle grandi rivoluzioni scientifiche, che l’intero approccio epistemologico della scienza, i suoi metodi, i contenuti e lo stesso paradigma dominante in una data epoca storica sono soggetti a continue variazioni, e non possono essere fissati una volta per tutte. In sintesi, i termini del problema bioetico consistono nell’unire il “si può fare?” di tipo tecnico, (nel senso: “abbiamo le conoscenze scientifiche e tecniche per realizzare qualcosa?”) con il “si può fare?” di tipo etico, cioè:  ”E’ giusto farlo?” Tra il potere e il dovere sta il ponte dell’etica. Ma quali valori danno le risposte? 

La visione “Radicale Nichilista”

Ha come metro di giudizio solo la libertà individuale. Tutto ciò che si può fare è anche giusto farlo. Aborto libero, eutanasia libera, fecondazione assistita libera e senza limiti etici, e così via. 

La visione “Sociologico Utilitarista”

Ha come metro di giudizio l’opinione dominante della massa e la propria utilità. Se un bambino concepito non è ritenuto un essere vivente, una persona, dalla maggioranza, allora non lo è. Se mi è utile abortire, allora lo faccio. 

La visione “Scientista”

Ha come metro di giudizio la scienza. Tutto ciò che la scienza scopre e che la tecnica applica è giusto e automaticamente è un progresso. Nessuna riflessione etica sui suoi utilizzi. Considera il progresso solo sotto un punto di vista scientifico, mentre il progresso per essere tale deve sempre rispettare la dignità di ogni vita umana senza distinzioni – inoltre il progresso non riguarda solo scienza, ma la politica, l’arte, la promozione dei diritti umani, ecc.  

La visione cristiana si chiama “Personalista” 

Ha come metro di giudizio la vita e la dignità dell’uomo (valore della persona umana in quanto tale che non dipende da origini, pensieri , comportamenti, ecc. ma dalla legge naturale. Un essere umana ha la dignità umana per il solo fatto di essere una persona umana. Ogni vita umana vale sempre e comunque). E’ lecito solo e tutto ciò che difende, guarisce, protegge, sviluppa, promuove e rispetta la vita umana dal concepimento alla morte naturale. Questa visione è quella ufficiale cattolica, ma è trasversale a credi politici e religiosi. La vita non può esssre ridotta a ideologie e credi. 

E’ un valore universale. Infatti il giuramento che ogni medico in ogni università statale, compie nel giorno della laurea, si basa su questo principio:  ”Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo,  GIURO:  di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento; di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale; di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente; di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona non utilizzerò mai le mie conoscenze; di prestare la mia opera con diligenza, perizia e prudenza secondo scienza e coscienza ed osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione; di affidare la mia reputazione esclusivamente alle mie capacità professionali ed alle mie doti morali; di evitare, anche al di fuori dell’esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il prestigio e la dignità della professione; di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni; di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica; di prestare assistenza d’urgenza a qualsiasi infermo che ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità, a disposizione dell’Autorità competente; di rispettare e facilitare in ogni caso il diritto del malato alla libera scelta del suo medico tenuto conto che il rapporto tra medico e paziente è fondato sulla fiducia e in ogni caso sul reciproco rispetto; di osservare il segreto su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell’esercizio della mia professione o in ragione del mio stato”.

Senza la difesa della vita. Di ogni vita, l’uomo ha solo la possibilità di distruggersi in sette modi “L’uomo si distrugge con la politica senza principi.  L’uomo si distrugge con la ricchezza senza lavoro. L’uomo si distrugge con l’intelligenza senza carattere. L’uomo si distrugge con gli affari senza morale. L’uomo si distrugge con la scienza senza umanità.
L’uomo si distrugge con la religiosità esteriore senza fede. L’uomo si distrugge con la carità senza il sacrificio di sé”. (Gandhi) Strano che chi usa la sua immagine per le sue lotte politiche, ritenga che la scienza non debba avere limiti morali e che un bambino possa essere ucciso con l’aborto. La tradizione della Chiesa ha sempre ritenuto che la vita umana deve essere protetta e favorita fin dal suo inizio, come nelle diverse tappe del suo sviluppo. Opponendosi ai costumi del mondo greco-romano, la Chiesa dei primi secoli ha insistito sulla distanza che, su questo punto, separa da essi i costumi cristiani.

Nella Didachè è detto chiaramente: «Tu non ucciderai con l’aborto il frutto del grembo e non farai perire il bimbo già nato».  Atenagora sottolinea che i cristiani considerano come omicide le donne che usano medicine per abortire; egli condanna chi assassina i bimbi, anche quelli che vivono ancora nel grembo della loro madre, dove si ritiene che essi «sono già l’oggetto delle cure della Provvidenza divina». Tertulliano non ha forse tenuto sempre il medesimo linguaggio; tuttavia egli afferma chiaramente questo principio essenziale: «È un omicidio anticipato impedire di nascere; poco importa che si sopprima l’anima già nata o che la si faccia scomparire sul nascere. È già un uomo colui che lo sarà». Ma . il rispetto della vita umana non si impone solo ai cristiani: è sufficiente la ragione a esigerlo basandosi sull’analisi di ciò che è e deve essere una persona. Dotato di natura ragionevole, l’uomo è un soggetto personale, capace di riflettere su se stesso, di decidere dei propri atti, e quindi del proprio destino; egli è libero. È, di conseguenza, padrone di sé, o piuttosto, poiché egli si realizza nel tempo, ha i mezzi per diventarlo: questo è il suo compito. Creata immediatamente da Dio, la sua anima è spirituale, e quindi immortale. Egli è inoltre aperto a Dio e non troverà il suo compimento che in lui. Ma egli vive nella comunità dei suoi simili, si nutre della comunicazione interpersonale con essi, nell’indispensabile ambiente sociale. Di fronte alla società e agli altri uomini, ogni persona umana possiede se stessa, possiede la propria vita, i suoi diversi beni, per diritto; la qual cosa esige da tutti, nei suoi riguardi, una stretta giustizia.

La storia dell’umanità è testimone di come l’uomo abbia abusato, e abusi ancora, del potere e delle capacità che gli sono state affidate da Dio, dando luogo a diverse forme di ingiusta discriminazione e di oppressione nei confronti dei più deboli e dei più indifesi. I quotidiani attentati contro la vita umana; l’esistenza di grandi aree di povertà nelle quali gli uomini muoiono di fame e di malattia, esclusi dalle risorse conoscitive e pratiche di cui invece dispongono in sovrabbondanza molti Paesi; uno sviluppo tecnologico ed industriale che sta creando il concreto rischio di un crollo dell’ecosistema; l’uso delle ricerche scientifiche nell’ambito della fisica, della chimica e della biologia per scopi bellici; le numerose guerre che ancor oggi dividono popoli e culture, sono, purtroppo, soltanto alcuni segni eloquenti di come l’uomo possa fare un cattivo uso delle sue capacità e diventare il peggior nemico di se stesso, perdendo la consapevolezza della sua alta e specifica vocazione di essere collaboratore dell’opera creatrice di Dio.

Dietro ogni « no » della Chiesa a pratiche bio-mediche immorali splende, nella fatica del discernimento tra il bene e il male, un grande « sì » al riconoscimento della dignità e del valore inalienabili di ogni singolo ed irripetibile essere umano chiamato all’esistenza.

Giorgio Nadali

www.giorgionadali.it

Pubblicato su L’Opinionista del 28.12.2009   http://www.lopinionista.it/notizia.php?id=356


Laicita’ e laicismo nello Stato

tribunale

di Giorgio Nadali

Nel mondo ci sono 194 nazioni. 187 laiche e 7 teocratiche (tutte islamiche). Nessun stato laicista. Alcuni governi “atei”. Nessun popolo ateo.  Tutte e 194 le nazioni hanno una cultura e una storia fondata su una religione. 48 hanno un simbolo religioso sulla bandiera nazionale. Croce:  25, Crescente:  11, Yin-Yang:  1  (Corea del Sud), Tiara e Chiavi S. Pietro:  1 (Città del Vaticano), Charka:  1 (India), Tempio di Angkor Wat:   1  (Cambogia), Allah Akbar (“Dio è grande”):   2  (Iran, Iraq), Shahadah (Professione di fede islamica):   1 (Arabia Saudita), Dragone:  1  (Bhutan) , Hiinomaru: 1 (Giappone), Stella con versetti del Corano: 1 (Giordania), Stella di Davide: 1 (Israele), Andorra  (Tiara  del  vescovo e bastone pastorale sullo stemma). Totale: 48 (su 194 Bandiere Nazionali: 24,74%) Circa un quarto degli Stati mondiali.

Non basta? Attualmente il calcolo degli anni è tutta su base religiosa. Cioè partono tutti da un fatto storico di una religione  Il più diffuso è l’anno cristiano ma esisto no diversi altri anni, islamico, ebraico, buddhista, induista, ecc. Inoltre i Paesi occidentali usano il calendario inventato da un papa italiano: Gregorio XII – Ugo Boncompagni (1582). Non esistono ambulanze senza il simbolo della croce nei Paesi cristiani, della mezzaluna islamica in quelli musulmani e della stella di Davide in Israele. Stato (laico) che ha una grande Menorah ebraico davanti al Parlamento israeliano a Gerusalemme. L’Italia osserva la domenica cristiana più altre sei festività cattoliche come giorno festivo per tutta la Nazione.   

.  Nel  Cerimoniale della Repubblica Italiana, il posto di un Cardinale: Art. 8 (Rango delle cariche europee e straniere). 3. “I Cardinali della Chiesa Cattolica e i Principi ereditari di Case regnanti hanno rango immediatamente seguente a quello del Presidente della Repubblica. Essi, tuttavia, non possono presiedere la cerimonia alla quale prendono parte”.

 “La scienza senza la religione è zoppa. La religione senza la scienza è cieca”. Così diceva lo scienziato Albert Einstein. Non di questo avviso alcuni beceri fanatici laicisti, professori e studenti dell’università “La Sapienza” di Roma, che hanno protestato e quindi fatto annullare la visita di Papa Benedetto XVI all’Ateneo romano in occasione dell’apertura dell’anno accademico o quella mamma che si è sentita offesa da un crocifisso in classe. Meglio chiarire la differenza tra laicità e laicismo…

Laicità. Il termine laico deriva dal greco. “Laòs” è il popolo. “Laikòs” significa popolare. Oggi questo termine è diventato lo scudo di una certa “cultura” che vorrebbe mettere la religione e le sue tradizioni da una parte e il vivere democratico e civile dall’altra. Ma è questa la laicità? Si rivendica una libertà di coscienza del cittadino, che deve sentirsi a suo agio in uno stato che non impone alcuna visione religiosa, non avvalla alcuna regola morale, prende le distanze da tradizioni e costumi religiosi, quasi che la cultura di un popolo non ne fosse profondamente e immancabilmente intrisa. Mi piace citare un padre della moderna sociologia — Emile Durkheim, che scriveva: “Non esiste una società conosciuta, senza religione. La religione ha dato tutto ciò che è essenziale allo sviluppo della società”. Ma anche Frèderic Le Play: “I popoli vivono delle loro credenze e muoiono delle loro incredulità”.
Cos’è la laicità? Esiste un corretto rapporto tra cultura religiosa di un popolo e laicità di uno stato? Non esistono popoli atei. Non esistono popoli senza una tradizione religiosa. Esistono oggi solo alcuni stati in cui la legge religiosa equivale quella civile. Le teocrazie. In tutti glia altri paesi, le leggi fondamentali sono state scritte basandosi anche sulla cultura religiosa di maggioranza in quello stato. Non sarebbe stata pensabile la carta costituzionale italiana, astrusa dalla cultura cattolica. Semplicemente perché la grande maggioranza dei cittadini si riconosce nei valori cristiani. Perché la storia dell’Occidente è stata in larga parte influenzata dal Cristianesimo. Perché la dimensione religiosa è una parte fondamentale della storia degli individui e dei popoli. Con buona pace di chi vorrebbe rivendicare la laicità come arma di difesa alla crisi della coscienza e al suo rancore verso la religione.
In un certo senso il contrasto nasce dal fatto che, com’è giusto che sia, esistono stati laici, ma non esistono popoli laici. Esiste una minoranza di cittadini non religiosi (o di altre religioni) che deve sentirsi a proprio agio in uno stato democratico, ma sempre in un paese che trova il suo collante anche e forse soprattutto nelle tradizioni e nella cultura religiosa della sua storia. Non è un caso che su più di sei miliardi di individui nel mondo oggi stime attendibili parlino di qualche centinaio di milioni di atei o agnostici, ben al di sotto del quindici per cento dell’umanità.

Un vero laico non è quindi un oppositore della religione, né si sente minacciato dalla naturale e inevitabile religiosità del suo popolo. La vera laicità non è opposta alla cultura religiosa. Uno stato laico deve tenere conto della sua tradizione religiosa. Non potrebbe fare altrimenti. Della cultura religiosa è pieno il suo tessuto sociale e storico.

Chiariamo un malinteso. Stato laico non vuol dire stato ateo e nemmeno stato antireligioso. Distingue semplicemente potere politico da autorità religiosa. Ma è profondamente radicato nella cultura religiosa che sostiene il suo tessuto sociale. Le sue tradizioni e la sua storia insomma. Nessuno stato al mondo è laicista. Alcuni governi sì, ma nessun popolo. Solo singole persone con gravi problemi psicologici, che odiano la religione. Gente che sputa nel piatto dove mangia e che approfitta delle feste cattoliche per fare vacanza.

Uno stato laico garantisce le libertà religiose. Ha una cultura religiosa che nasce dalla sua storia e nella quale si riconosce la quasi totalità dei suoi cittadini. Non è realistico pensare all’Italia come ad un Paese non cattolico. E’ impensabile guardare all’Occidente senza comprendere la storia del Cristianesimo. Uno stato laico non ha leggi basate sulla religione. Se così fosse, tutti i peccati, ad esempio, della morale cattolica, sarebbero automaticamente reati. Divorzio, adulterio, aborto, rapporti sessuali prematrimoniali non sono reati. Mentre tutti i reati sono anche peccato perché si oppongono alla visione morale, quella cattolica, che forma il tessuto culturale e sociale del nostro Paese. Certo. I valori laici e quelli cattolici possono convergere, ma è illusorio pensare che i “valori laici” in un Paese di cultura cattolica non abbiano nulla a che fare, anche a livello di formazione, con quest’ultima. In altre parole, il cattolicesimo ha generato anche valori che qualcuno ritiene “laici”. E così in qualsiasi altro paese al mondo, non essendoci, abbiamo già detto, società e popoli atei. Se il nostro Paese crede nel dialogo e nella tolleranza, lo deve alla cultura cattolica. Lo sarebbe nella stessa misura se fosse stato fondato in una cultura islamica fondamentalista, come in Arabia Saudita o in Iran?
Alla base delle diverse deviazioni dottrinali e pratiche del mondo attuale si può scoprire come un denominatore comune, che quasi esprima l’anima di tutto e rappresenti il principio ispiratore della complessa gamma degli atteggiamenti errati nel campo religioso e morale?

Noi pensiamo di sì e crediamo di individuare questo atteggiamento di fondo in quella diffusa mentalità attuale che va sotto il nome di “laicismo”. Non temiamo di affermare che questo è l’errore fondamentale, in cui sono contenuti in radice tutti gli altri, in una infinità di derivazioni e di sfumature.
E’ difficile dare una definizione del laicismo, poiché esso esprime uno stato d’animo complesso e presenta una multiforme varietà di posizioni. Tuttavia in esso è possibile identificare una linea costante, che potrebbe essere così definita: una tendenza o, meglio ancora, una mentalità di opposizione sistematica ed allarmistica verso ogni influsso che possa esercitare la religione in genere e la gerarchia cattolica in particolare sugli uomini, sulle loro attività ed istituzioni.

Ci troviamo, cioè, di fronte ad una concezione puramente naturalistica della vita dove i valori religiosi o sono esplicitamente rifiutati o vengono relegati nel chiuso recinto delle coscienze e nella mistica penombra dei templi, senza alcun diritto a penetrare ed influenzare la vita pubblica dell’uomo (la sua attività filosofica, giuridica, scientifica, artistica, economica, sociale, politica, ecc.).
Abbiamo, così, innanzitutto un laicismo che si identifica in pratica con l’ateismo. Esso nega Dio, si oppone apertamente ad ogni forma di religione, vanifica tutto nella sfera dell’immanenza umana. Il marxismo è precisamente su questa posizione né è il caso che ci diffondiamo ad illustrarlo.
Abbiamo, poi, un’espressione meno radicale, ma più comune, di laicismo, che ammette Dio e il fatto religioso, ma rifiuta di accettare l’ordine soprannaturale come realtà viva ed operante nella storia umana. Nell’edificazione della città terrestre intende prescindere completamente dai dettami della rivelazione cristiana, nega alla Chiesa una superiore missione spirituale orientatrice, illuminatrice, vivificatrice nell’ordine temporale.
Le credenze religiose sono, secondo questo laicismo, un fatto di natura esclusivamente privata; per la vita pubblica non esisterebbe che l’uomo nella sua condizione puramente naturale, totalmente disancorato da un qualsiasi rapporto con un ordine soprannaturale di verità e di moralità. Il credente è perciò libero di professare nella sua vita privata le idee che crede. Se, però, la sua fede religiosa, uscendo dall’ambito della pratica individuale, tenta di tradursi in azione concreta e coerente per informare ai dettami del Vangelo anche la sua vita pubblica e sociale, allora si grida allo scandalo come se ciò costituisse una inammissibile pretesa.
Alla Chiesa si riconosce, tutt’al più, un potere indipendente e sovrano nello svolgimento della sua attività specificamente religiosa avente uno scopo immediatamente soprannaturale (atti di culto, amministrazione dei sacramenti, predicazione della dottrina rivelata, ecc.). Ma si contesta ad essa ogni diritto di intervenire nella vita pubblica dell’uomo poiché questa goderebbe di una piena autonomia giuridica e morale, né potrebbe accettare dipendenza alcuna o anche solo ispirazione da esterne dottrine religiose.

Praticamente si nega o si prescinde dal fatto storico della rivelazione; si misconosce la natura e la missione salvifica della Chiesa; si tenta di frantumare l’unità di vita del cristiano, nel quale è assurdo voler scindere la vita privata da quella pubblica; si abbandona la determinazione della verità e dell’errore, del bene e del male all’arbitrio del singolo o delle collettività, aprendo così la strada a tutte le aberrazioni individuali e sociali, di cui – purtroppo – i nostri ultimi decenni hanno offerto testimonianze atroci.
Come si vede, il fenomeno laicista affonda le sue radici in un contrasto sostanziale di principi. Non si esaurisce nel fatto politico contingente, anche se preferisce sviluppare soprattutto su questo terreno la sua quotidiana polemica contro la Chiesa. Nella sua accezione più conseguente, esso è una concezione della vita che è agli antipodi di quella cristiana.

Una sottile corrosione dell’anima cattolica del paese Il pericolo insito in questo errore è oggi accentuato da due fatti. Innanzi tutto il laicismo, nell’odierna situazione italiana, evita generalmente gli atteggiamenti plateali e massicci del vecchio anticlericalismo ottocentesco. IL più scaltrito, più duttile, più lucido ed aggiornato alle tecniche del tempo. Più che aggredire direttamente preferisce l’insinuazione perfida e la critica sottile, più che la discussione diretta preferisce la battuta di spirito e lo scherno, più che l’attacco alle idee preferisce l’utilizzazione delle debolezze degli uomini, più che le spettacolari chiassate di piazza preferisce l’orpello d’una certa severità culturale.
Anche quando attacca la Chiesa si sforza di ammantarsi di nobili motivi: vorrebbe svincolarla da ogni “compromissione” temporale, purificarla da ogni “contaminazione” mondana e politica, metterla al passo dei tempi e svecchiare le sue interne strutture, affinché, libera e ringiovanita, possa tornare ad esercitare il suo sovrano ministero spirituale sulle anime.
A questo s’aggiunge un altro fattore importante: il laicismo sfugge a posizioni dottrinali precise. Come tutti gli errori di oggi preferisce l’indeterminatezza e la vaporosità degli atteggiamenti. Fa leva soprattutto su impressioni, su sentimenti e risentimenti, su stati d’animo. Ciò è dovuto a volte alla superficialità delle sue idee, ma spesso obbedisce ad un preciso calcolo. Ama giocare sull’equivoco per raggiungere i propri scopi senza suscitare eccessive reazioni, soprattutto in quella parte dell’opinione pubblica ancora legata – in qualche modo – alla religione e alla morale cristiana. Si mimetizza per operare indisturbato in modo da creare gradualmente un clima di pensiero e di vita disancorato da ogni riferimento soprannaturale ed aperto a tutte le avventure intellettuali e morali.
Questi fatti rendono l’insidia molto più grave, perché, sotto l’apparente rispetto per la fede religiosa del popolo, può essere gradualmente e insensibilmente consumata un’opera di sistematica corrosione dell’anima cattolica del paese.

Le manifestazioni più ricorrenti

Che alla base dell’odierno atteggiamento laicista vi sia un profondo contrasto di natura religiosa, lo dimostra anche uno sguardo – sia pure sommario – dato alle più recenti manifestazioni di esso, le quali possono essere così sommariamente delineate:
a) critiche astiose, anche se talvolta espresse in forma di apparente rispetto, per ogni intervento del magistero ecclesiastico, ogni qualvolta esso, dal piano dei principi, scende alle applicazioni pratiche; allarme e rifiuto dell’intervento della Chiesa e della sua gerarchia perfino in fatto di pubblica moralità;
b)insofferenza e diffidenza, se non aperta ostilità, verso tutto ciò che è espressione del pensiero e della vita dei cattolici nel paese, verso tutto ciò che indica una loro presenza ed influenza nei diversi settori della vita pubblica;
c) compiaciuta pubblicità data ad episodi di immancabili deficienze e di presunti scandali nel clero e nel laicato cattolico organizzato; travisamento sistematico delle finalità che animano opere cattoliche di assistenza, di carità, di educazione, ecc.;
d) compiacente appoggio dato ad ogni tentativo tendente ad introdurre nella legislazione italiana il divorzio e ad attenuare le vigenti disposizioni a tutela delle leggi della vita;
e) isolati, ma chiari sforzi per rimettere in discussione il Concordato che pure fu accettato con quasi unanime riconoscimento nell’immediato dopoguerra ed inserito nella stessa Costituzione;
f) aspri attacchi contro la vera libertà della scuola non statale e continue accuse ai cattolici di voler sabotare la scuola statale; opposizione tenace ad ogni richiesta di contributi, da parte dello Stato, alla scuola non statale e taccia alla stessa di mancare di libertà e di non educare alla libertà, in quanto al cattolico sarebbe preclusa la libertà d’indagine necessaria per il progresso e la cultura;
g) scandalo e proteste per ogni partecipazione delle pubbliche autorità a manifestazioni religiose o ad atti di omaggio al vicario di Cristo, nel quale si vuol vedere soltanto il sovrano della Città del Vaticano, con cui trattare da pari a pari, pena l’umiliazione e l’abdicazione dello Stato alla sua dignità sovrana;
h) incapacità a comprendere nel loro pieno significato religioso gli interventi della Chiesa e della sua gerarchia, intesi ad orientare i cattolici nella vita pubblica, a richiamarli – nel momento attuale – al dovere dell’unità, e a metterli in guardia contro ideologie che, prima di essere aberrazioni politiche e sociali, sono autentiche eresie religiose. Gioverà ricordare le parole di Pio XI: “Ci sono dei momenti in cui noi, l’episcopato, il clero, i laici cattolici, sembra si occupino di politica. Ma, in realtà, non ci si occupa che della religione e degli interessi religiosi, finché si combatte per la libertà religiosa, per la santità della famiglia, per la santità della scuola, e per la santificazione dei giorni consacrati al Signore. Non è questo fare della politica… Allora è la politica che ha toccato la religione, che ha toccato l’altare. E noi difendiamo l’altare” (Pio XI, Discorso del 19 settembre 1925).
Da questi brevi cenni risulta evidente la gravità degli errori diffusi sotto l’etichetta del laicismo.
La Chiesa non ha alcun interesse a riaprire antichi dissidi, né desidera che i cattolici si lascino trascinare su un campo di sterili polemiche, le quali servirebbero soltanto a disgregare la spirituale compagine delle nazioni e a distrarli dal duro, positivo impegno quotidiano di edificazione di una società più giusta e più capace di risolvere i problemi concreti ed urgenti della vita del nostro popolo.
Tuttavia non può restare indifferente di fronte a questi attacchi, che investono la sostanza della sua dottrina. Tradirebbe la sua missione e aprirebbe la strada a facili disorientamenti nelle anime ad essa affidate.

Giorgio Nadali

www.giorgionadali.it

Pubblicato su “L’Opinionista” del 02.12.2009   http://www.lopinionista.it/notizia.php?id=338


L’odio laicista contro il Crocefisso

CROCIFISSOdi Giorgio Nadali

Il crocefisso dà fastidio ai laicisti. Non ai laici. E ancora una volta la scuola e i ragazzi sono usati come strumento politico dai nemici della religione. I laicisti, appunto. Una signora –  Soile Lautsi Albertin, cittadina italiana originaria della Finlandia, che nel 2002 aveva chiesto all’istituto comprensivo statale Vittorino da Feltre di Abano Terme (Padova), frequentato dai suoi due figli di 11 e 13 anni, di togliere i crocefissi dalle aule in nome del principio di laicità dello Stato. Dalla direzione della scuola era arrivata risposta negativa e a nulla sono valsi i successivi ricorsi della Lautsi. Oggi la corte europea di Strasburgo le ha dato ragione. Ma la signora dimentica che la croce è presente anche sulla bandiera nazionale della Finlandia – suo Paese di origine – insieme ad altri 17 Stati. Tutti laici. Ma non laicisti. Una concezione sbagliata della laicità. La laicità distingue il potere politico dall’autorità religiosa, ma non rinuncia ai simboli culturali del proprio Paese. La laicità è invece l’odio contro la religione, per cercare – nei Paesi cristiani – di ridurre la Chiesa nelle chiese. E’ anche un fatto di ignoranza, dato che non è possibile in nessuno dei 194 Stati del mondo separare cultura, storia, religione e società. E naturalemente non è possibile eliminare i loro simboli. La croce rappresenta il fondamento della cultura che ha fondato i Paesi occidentali. Per questo la Corte Costituzionale si era pronunciata così:   «Il crocifisso è simbolo di tutti i martiri, al di là della fede religiosa».

La decisione sui crocefissi presa dalla Corte di Strasburgo “non è vincolante” per gli Stati membri dunque “resteranno nelle aule”. Lo ha detto Silvio Berlusconi. A decidere, prosegue il premier “è una commissione del Consiglio d’Europa cui partecipano molti Stati che non sono nell’Ue”. Dunque la sentenza “non è vincolante e non c’è alcuna possibilità di coercizione per il nostro Paese”. Il governo ha dato mandato al ministro Frattini di fare ricorso. Tutte le forze politiche parlamentari si sono espresse in difesa del crocefisso.

“Penso che su questioni delicate come questa, qualche volta il buonsenso finisce di essere vittima del diritto. Io penso che un’antica tradizione come il crocefisso non può essere offensiva per nessuno”. Così il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, arrivando nella sede della Commissione Europea, ha commentato la controversa sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Tutto il Pdl si mobilita contro la decisione della Corte Europea. «La presenza del crocifisso in classe non significa solo adesione al cattolicesimo dice Vaccarezza (Pdl)- ma è il simbolo della nostra tradizione. Il crocefisso è un patrimonio civile di tutti gli italiani, perchè è il segno dell’identità cristiana dell’Italia e anche dell’Europa.E’ un simbolo che, oltre al valore intrinseco, rappresenta la nostra storia, la nostra cultura e la nostra essenza più pura di Italiani. Cancellare i simboli vuol dire cancellare una parte di noi stessi, negare i presupposti stessi su cui si è fondata l’evoluzione della nostra vita. Sottolineare la laicità delle istituzioni è un passaggio ben diverso da questo, volto a mio parere alla completa negazione del cristianesimo. E’ un errore drammatico fare dell’Europa uno spazio vuoto di simboli, di tradizioni, di cultura».

«La sentenza della Corte Europea di Strasburgo è fortemente ideologica e non è certamente condivisa dal sentire comune. Se continua su questa strada temo che l’Europa si allontani dalla gente». Così ha affermato il presidente della Cei e arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco che ha ribadito la critica della Chiesa alla sentenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo sui Crocifissi nelle scuole. Il cardinale Bagnasco ha sottolineato come «una decisione del genere, oltre ad essere sbagliata nel merito, non risponda al sentire del popolo».

«Il Crocifisso», ha dichiarato commentando la sentenza della Corte europea padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa vaticana, «è stato sempre un segno di offerta di amore di Dio e di unione e accoglienza per tutta l’umanità». «Dispiace che venga considerato come un segno di divisione, di esclusione o di limitazione della libertà. Non è questo, e non lo è nel sentire comune della nostra gente». Ma se questo è vero, sarà allora innanzitutto interesse della Chiesa evitare che il crocifisso – simbolo di «unione e accoglienza» – sia interpretato come «segno di divisione»

Non è difficile scorgere il crocifisso nelle aule di giustizia, nelle carceri, negli ospedali, nelle caserme, nelle stazioni di Pubblica Sicurezza e in molte scuole. L’ex presidente Ciampi osservò: “A mio giudizio, il crocifisso nelle scuole è sempre stato considerato non solo come segno distintivo di un determinato credo religioso, ma soprattutto come simbolo di valori che stanno alla base della nostra identità”. E ricorda: “Non a caso il filosofo laico Benedetto Croce intitolò un suo saggio Perché non possiamo non dirci cristiani”.

L’esposizione del crocefisso nei luoghi statali è tuttora regolata dall’art. 118 del regio decreto del 30 aprile 1924, n. 965 (Ordinamento interno delle giunte e dei regi istituti di istruzione media), nella parte in cui includono il crocifisso tra gli «arredi» delle aule scolastiche impone la sua esposizione in ogni scuola e nei tribunali.

“Chiunque rimuove in odio ad esso l’emblema della Croce o del Crocifisso dal pubblico ufficio nel quale sia esposto o lo vilipende, è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da 500 a 1.000 euro”. Non è ancora legge. E’ l’articolo 4 della proposta di legge riguardante le “Disposizioni per disciplinare l’esposizione del Crocifisso in tutti i pubblici uffici e le pubbliche amministrazioni della Repubblica” presentata il 31 maggio 2006 dal deputato veronese della Lega Nord Padania, Federico Bricolo.

Bricolo sostiene che “Non si ritiene che l’immagine del Crocifisso nelle aule scolastiche, o più in generale negli uffici pubblici, nelle aule dei tribunali e negli altri luoghi nei quali il Crocifisso o la Croce si trovano ad essere esposti, possa costituire motivo di costrizione della libertà individuale a manifestare le proprie convinzioni in materia religiosa.

Risulterebbe inaccettabile per la storia e per la tradizione dei nostri popoli, se la decantata laicità della Costituzione repubblicana fosse malamente interpretata nel senso d’introdurre un obbligo giacobino di rimozione del Crocifisso; esso, al contrario rimane per migliaia di cittadini, famiglie e lavoratori il simbolo della storia condivisa da un intero popolo.

Cancellare i simboli della nostra identità, collante indiscusso di una comunità, significa svuotare di significato i principi su cui si fonda la nostra società.

Rispettare le minoranze non vuole dire rinunciare, delegittimare o cambiare i simboli e i valori che sono parte integrante della nostra storia, della cultura e delle tradizioni del nostro Paese.

Pur prendendo atto dell’odierna aconfessionalità e neutralità religiosa dello Stato, nonché della libertà e della volontarietà dei comportamenti individuali, i fatti da ultimo registrati evidenziano come si renda necessaria l’emanazione di un provvedimento che, pur nel rispetto dell’autonomia scolastica, assicuri che non vengano messi in discussione i simboli e i valori fondanti della nostra comunità”.

Ma cos’è uno stato laico? E’ uno stato che nelle sue leggi non contempla esclusivamente dei dettami religiosi. Al contrario, uno stato teocratico fonda ogni sua legge sulla legge religiosa. Oggi solo sei paesi islamici (su una ventina) lo sono. In un paese teocratico ogni peccato è anche un reato! Ma stato laico non vuol dire senza cultura religiosa. Non esistono stati di questo tipo. Già uno dei padri della sociologia moderna, Emile Durkheim, pur essendo ateo osservava: “Non esiste una società conosciuta, senza religione… la religione ha dato vita a tutto ciò che è essenziale nella società”.

Ogni cultura ha dei simboli condivisi. Va da sé che il crocefisso rimane il simbolo fondante della cultura cristiana, che è quella del Popolo italiano. A nessuno verrebbe in mente di rimuovere la croce presente su tutte le autoambulanze dei paesi cristiani. Eppure è anche lì, come simbolo cristiano del soccorso e della salvezza.

Un piccolo gruppo di atei razionalisti cerca di condurre una “campagna permanente di sensibilizzazione per la rimozione dei crocifissi negli edifici pubblici”. Altri lamentano, radicali in testa, un eccessivo peso del Vaticano sugli affari interni nazionali. Laicità dimenticata: l’ingerenza del Vaticano ha superato il limite di tolleranza per uno Stato democratico , affermano.

E’ viva la polemica sulla libertà di voto di un deputato cattolico, eletto, sostengono, anche da chi non si riconosce nel pensiero della Chiesa, dimenticando che “la coerenza è il primo dei doveri di un cristiano”.

Vero è che rispettare la cultura in cui si riconosce la stragrande maggioranza dei cittadini di una nazione è segno di civiltà e anche di saggezza. Non è col laicismo, che sostiene la piena autonomia dello Stato e dei suoi principî rispetto alle autorità e alle confessioni religiose, che è possibile un confronto democratico con l’identità e la cultura di un Paese, che deve alla religione i suoi fondamenti sociali, storici e culturali. Con buona pace di chi vede nel crocifisso non un simbolo di salvezza, ma di condanna.

E allora perché i laicisti non propongono per loro stessi, con somma coerenza, di eliminare come festività anche la domenica, dato che in tutti i paesi cristiani rimane il giorno del riposo in quanto, letteralmente “Giorno del Signore”? Per non parlare delle altre sei festività cattoliche riconosciute dal Concordato tra Stato e Chiesa, come giorni festivi per tutta la Nazione… La verità è che le società vivono di tradizioni e di simboli e tra questi quelli religiosi, dato lo stretto legame tra religione, cultura e società presso qualsiasi popolo della Terra.

Forse dovrebbero rimuovere la Croce quei 18 Stati che l’hanno posta sulla loro bandiera nazionale? Sono 40 su 192 gli stati che hanno un simbolo sacro sul vessillo nazionale….

Volere la rimozione dei simboli nei quali non ci si riconosce (ma che sono riconosciuti dalla maggioranza) significa perdere parecchio della propria umanità. E forse anche rinunciare a un po’ di intelligenza e socialità. Si parla tanto di integrazione culturale degli immigrati. Molto avrebbero da imparare coloro che nati in un paese di cultura cristiana, non la riconoscono e stizzosamente vorrebbero per loro la rimozione dei suoi simboli. A loro il consiglio di un luogo senza simboli religiosi, senza tradizioni e senza cultura religiosa che influisca sul tessuto sociale. A dire il vero anche in quel luogo è arrivato un simbolo. Laico. Una bandiera. Sulla Luna.

Giorgio Nadali

www.giorgionadali.it

Pubblicato su “L’Opinionista” del 23.11.2009  http://www.lopinionista.it/notizia.php?id=336


Islam, fondamentalismo e integrazione in Italia

preghiera-piazza-duomo

di Giorgio Nadali

“Il Mentre che tutto in lui veder m’attacco, 
guardommi, e con le man s’aperse il petto, 
dicendo: «Or vedi com’io mi dilacco! 
vedi come storpiato è Maometto! 
Dinanzi a me sen va piangendo Alì, 
fesso nel volto dal mento al ciuffetto”. 

Non è certo il modo ideale per aprire un dialogo con un musulmano. E’ il XXVIII canto (v. 28-33) dell’Inferno della Divina Commedia. Dante descrive Maometto nell’inferno. Il dialogo con la religione del Profeta della Mecca (circa 1 miliardo di fedeli nel mondo, di cui 580000 in Italia, 10000 cittadini italiani) è quello che i presenta più difficoltà. La religione del profeta Muhammed (Maometto) nasce 622 anni dopo Cristo. Delle tre fedi in un unico Dio, è la più giovane e la seconda per numero di fedeli. Un numero oggi uguale a quello di tutti i cristiani cattolici. Nel Corano (diviso in capitoli, dette “sure”) Gesù Cristo non solo viene citato, ma è anche onorato come un profeta, nato da Maria (Maryam) vergine, che lo partorì  sotto un albero di palme (Sura 19,22). La verginità di Maria (Sura 19,21) è talvolta messa in discussione anche in ambito cristiano, non solo protestante, ma è riconosciuta nell’Islam. Il Corano riconosce anche alcuni miracoli di Gesù. Secondo il sacro libro islamico il primo miracolo di Gesù non fu quello della trasformazione dell’acqua in vino (Gv 2, 1-11), ma quello di parlare da adulto appena nato (Sura 19,29). Vediamo ora schematicamente alcune differenze sostanziali e come sia possibile istaurare un sincero dialogo. Ma… perché dialogare? Primo. Perché siamo cristian. Secondo. Perché non si può più sottovalutare il fenomeno in forte crescita dell’espansione islamica. L’Islam cresce, più di ogni altra religione, con un tasso dell’ 1,7% all’anno. Terzo. Per non cedere a facili e ingiustificate discriminazioni e intolleranze, che minano una pacifica convivenza. Quarto. Per capire che dalla stragrande maggioranza dei musulmani non proviene una minaccia per la nostra cultura, che va preservata, né per la nostra sicurezza, che va difesa. Circa il 10% dei fedeli si riconoscono nelle posizioni integraliste, e di questi solo una parte si lascia convincere ad azioni violente. Non esiste una visione unitaria nell’Islam. Le visioni di fede e  morale possono essere indifferentemente interpretate in chiave fondamentalista e in chiave moderata.

Non tutti fondamentalisti sono terroristi. Ad esempio, per quanto riguarda l’Islam, vi sono i fondamentalisti nazionalisti, che rivendicano l’autonomia di una terra (Palestina, Cecenia, Curdi, ecc.) e quelli semplicemente religiosi, ma innocui, come i wahabiti, la salaffya o usullya, anche se, a dire il vero, Osama Bin Laden si è formato alla scuola wahabbita…

Quelli cattivi vogliono la khilafah, cioè l’islamizzazione dell’Occidente, e questo è lo scopo del sesto pilastro dell’islam, che in realtà non dovrebbe esistere nella teologia islamica. I pilastri (arkan al Islam) sono cinque, ma loro aggiungono anche la, o meglio il jihad, guerra santa contro i kafirun, i non islamici. Per qualsiasi musulmano un fratello è solo un altro musulmano. Il concetto di fratellanza universale è solo cristiano. I fondamentalisti cattivi vedono i kafirun (non islamici) come nemici, quelli buoni e gli islamici moderati vedono i kafirun semplicemente come persone non musulmane, non fratelli, comunque da rispettare.

L’integralismo islamico è per lo più associato a movimenti germinati successivamente al fallimento dell’esperienza del “riformismo” fiorito nel XIX secolo specie con la nascita in Egitto – alla fine degli anni ’20 – del movimento dei Fratelli Musulmani. La maggior risonanza internazionale la si è però avuta negli anni ’70 in Iran, con la cosiddetta “Rivoluzione islamica” dell’ ayatollah Ruhollah Khomeyni.
Il terrorismo islamico può essere considerato una forma di reazione all’egemonia dell’Occidente. Ma proprio esso, il terrorismo islamico e il fondamentalismo

che lo sostiene, hanno spinto il mondo degli Stati arabi e musulmani ad avvicinarsi all’Occidente

L’integralismo islamico sostiene il dovere dell’applicazione rigida e totale della legge islamica, basata sul Corano e la Sunna, estesa anche alla vita politica e sociale. Dato però che l’auto definizione dell’Islam è quella di dīn wa dunya, ossia “religione e mondo”, o “ultramondanità e mondanità”, la definizione di “integralismo” è inutile perché per l’Islam o si coniugano costantemente gli aspetti sacri e profani dell’esperienza umana oppure non si è semplicemente all’interno del sistema islamico, anche se occorre specificare che l’affermazione di “incapacità” dell’Islam di distinguere il laico dal religioso non trova e non ha quasi mai trovato un’attuazione storica nei circa 1.400 anni di storia della civiltà islamica.

Il wahhabismo sui movimenti militanti contemporanei arabi e islamici che si propongono di disegnare nuovo equilibri geo-strategici planetari in funzione dell’eccellenza del modello islamico e problematico rimane un giudizio non di parte sulla sua positività o negatività, dal momento che il pensiero hanbalita sembra possedere in teoria gli strumenti metodologici meglio orientati ad affrontare positivamente, con l’arma dialettica dell’ijthad, il difficile problema del rapporto fra la modernità e Islam. E molto sangue dovrà ancora scorrere per i simboli della modernità occidentale.

Esiste un Islam moderato? Certamente, ma non nel senso che esista un Islam compatibile con la concezione occidentale dei diritti umani e della libertà religiosa.

L’Islam è profondamente asimmetrico rispetto all’Occidente, molto più di quello che non lo

sia rispetto al Cristianesimo. Il Cristianesimo e l’Islam hanno molti elementi comuni, nel Medioevo l’Islam era considerato uno scisma della Cristianità. A questo titolo Dante pone Maometto nel suo Inferno.  Con il mondo occidentale, che

comporta il frutto del razionalismo e dell’illuminismo, cioè di un pensiero non religioso, il dialogo è invece impossibile: e basta leggere la dichiarazione

dei diritti umani elaborata dai teologi islamici e tutta fondata sul Corano per capire l’impossibilità dell’intervento, la radicale asimmetria. L’Islam non ammette una conoscenza della natura indipendente dal Corano nel senso della legge naturale,

di origine stoica che il Cristianesimo ha fatto propria assumendo nel suo ordinamento il diritto romano.

Ogni ragionamento in materia etica e politica non può avere altra fonte che il Corano e la tradizione che lo commenta, la Sunna e i detti di Maometto riferiti

per tradizione. Mentre natura e ragione sono termini della tradizione cristiana dalle

quali l’Illuminismo li ha ricevuti, essi sono interamente assenti nella cultura islamica: di qui appunto la radicale asimmetria.

Non è dunque possibile trovare un Islam moderato in quanto Islam e anche in Turchia stessa il livello di libertà religiosa non corrisponde ai criteri occidentali.

L’Islam è interamente altro dall’Occidente eppure l’Occidente sta iniziando la sua penetrazione nelle aree aperte dalla tecnologia, dalla comunicazione, dall’economia. Il dialogo è possibile nella misura in cui l’altro dall’Islam, cioè l’Occidente, interviene con la sua dimensione reale a modificare la realtà dei popoli islamici. Questo è il processo in cui viviamo, in cui l’influenza genera il conflitto, ma il conflitto non diminuisce l’influenza. La storia dell’Islam è ormai la storia della

penetrazione occidentale dei popoli musulmani e delle reazioni che essa suscita

I Musulmani rappresentano, attualmente, la seconda comunità religiosa in Italia per numero di fedeli. Essi provengono da diverse parti del mondo, parlano lingue diverse e hanno diverse estrazioni sociali. In molti casi, l’unico vincolo tra essi è la comune fede religiosa. Anche se da un punto di vista giuridico o sociologico, l’esistenza di una “comunità musulmana unitaria” può essere oggetto di discussione, non mancano indicazioni sul fatto che i Musulmani siano accomunati da un sentimento di identità condivisa, seppure non sempre manifestata apertamente. 
Attualmente, la popolazione musulmana in Italia è costituita da circa 700.000 individui. Tra di essi, 40-50.000 (di cui circa 10.000 Cristiani convertiti all’Islam) hanno la cittadinanza italiana ed i loro diritti e doveri sono definiti dalle medesime disposizioni che si applicano a tutti i cittadini italiani.
La maggioranza dei Musulmani presenti in Italia è costituita da immigrati giunti negli ultimi vent’anni e privi della cittadinanza italiana. Tra questi, circa 610-615.000 sono “regolari” e godono legalmente del diritto di vivere e lavorare in Italia. Gli altri 80-85.000 sono “irregolari”, sprovvisti di permesso di soggiorno o di lavoro. 

Molti dei problemi che i Musulmani devono affrontare nella vita sociale, economica e politica sono condivisi da tutti gli immigrati. Vi sono, tuttavia, alcune questioni specifiche, che riguardano la comunità musulmana nel suo insieme, a prescindere dall’elevato grado di diversità interna che presenta.
In particolare, l’atteggiamento di larga parte della popolazione italiana e dei mezzi di comunicazione e, più in generale, il dibattito pubblico indicano che i membri di tale minoranza si collocano tra quelli meno integrati nella società italiana. Inoltre, il fatto che le organizzazioni islamiche non siano ancora riuscite a concludere un’intesa con lo Stato segnala l’esistenza di problemi che riguardano specificamente i diritti religiosi dei Musulmani.

Punti di incontro:

E’ possibile un punto d’incontro con i numerosi musulmani  che lavorano onestamente. Diversi hanno anche aperto una propria attività. Ma questi hanno uno stile di vita occidentale. Non sono fondamentalisti. Hanno tutto l’interesse ad una convivenza pacifica per prosperare nella loro attività. Come il pizzaiolo da cui mi servo. Sono anche religiosi, ma distinguono la dimensione religiosa da quella civile. Altrimenti per l’Islam non sarebbe possibile un’integrazione. Il fondamentalismo vuole l’applicazione della sharia (che vuol dire “via”). Possibile solo nella teocrazia, non in un paese laico.  L’Arcivescovo di Milano, il Cad. Tettamanzi ha detto alla vigilia della festa patronale di S. Ambrogio:  «Abbiamo bisogno di luoghi di preghiera in tutti i quartieri della.  Ne hanno un bisogno ancora più urgente le persone che appartengono a religioni diverse da quella cristiana, in particolare all’ Islam».  «Occorre vigilanza, ma questo non significa negare il fondamentale diritto della libertà religiosa, della possibilità di esprimerla non soltanto nell’ intimo della propria coscienza ma nella convivenza civile. C’ è la necessità di momenti di silenzio, riflessione e preghiera, e questo vale per tutti, anche per chi non ha una religione come quella cattolica. Bisogna fare attenzione a non confondere il religioso con il politico». Ma il problema è proprio questo. E’ molto difficile per l’Islam separare il religioso dal politico. Per il cattolicesimo non c’è separazione tra dimensione sociale, politica e religiosa nel senso che la fede anima tutte le realtà umane. Ma c’è il rispetto della laicità dello stato, ben diverso dal laicismo che è contro la religione. Laicità come opposto di teocrazia, cioè leggi politiche tutte basate sulla religione.  Per noi cristiani la politica è per l’uomo, non l’uomo per la politica. Al centro della politica deve esserci l’uomo e la sua dignità, il cui rispetto viene dalla fede in Gesù Cristo morto e risorto per tutti e in Dio Padre di ogni uomo,  mentre per l’Islam al centro di ogni cosa c’è la legge religiosa.    

ISLAM                                                                                  CATTOLICESIMO

Allah e GesùGesù è stato creato da Allah attraverso la sua parola. E tramite la potenza di Allah è stato trasferito in Maria. Tuttavia è solo un uomo.

Allah non ha figli, Gesù non è suo figlio. Gesù non può essere venerato come Dio.

Sure 9:30; 5:75; 4:171; 3:59; 3:45; 5:75.

Dio e GesùGesù è stato generato dallo Spirito Santo in Maria.

Gesù è l’unigenito Figlio di Dio. Gesù è venuto come uomo sulla terra ed è Dio incarnato. Sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento Gesù è venerato come Dio.

Salmo 2:7; Matteo 1:20; Luca 1:35; Giovanni 1:1-2; Isaia 9:6; Giovanni 20:28.

Gesù non è morto sulla croceGesù non è stato crocifisso e non è risorto. Una crocifissione sarebbe stata per lui una sconfitta vergognosa. Con la sua morte non avrebbe ottenuto nessuna redenzione.

(Sulla fine di Gesù il Corano non ha indicazioni chiare. Probabilmente Allah l’ha rapito davanti ai suoi nemici, e un altro è stato crocifisso al suo posto.)

Sura 4:157-158.

Gesù, morto sulla croce e risortoGesù è morto sulla croce secondo la volontà del Padre. È stato messo in una tomba ed è risorto dai morti il terzo giorno.

Con ciò ha conquistato la vittoria sul peccato e sulla morte e ha ottenuto la redenzione per coloro che ripongono la loro fiducia in lui.

Matteo 16:21; Atti 10:40; 1 Corinzi 15:4; Filippesi 2:8; Colossesi 1:22; 1 Pietro 2:24.

Gesù non è DioChi dice che il figlio di Maria è Allah è un miscredente.

Sura 5:75-78; 9:30.

Gesù è DioGesù è vero uomo e vero Dio.

Matteo 1:23; Giovanni 1:1,14; 10:30,38; 14:9; Colossesi 1:19; 2:9; Tito 2:13; 1 Giovanni 5:20.

Il peccatoNel paradiso terrestre Adamo ha peccato quando ha mangiato il frutto proibito.

Ma con questo evento l’uomo non è stato separato da Allah.

(Nell’islam non c’è caduta e il peccato originale non esiste.)

Sura 2:35-39.

Il peccatoAdamo ha trasgredito il comandamento di Dio nel paradiso.

Le conseguenze di questa violazione sono peccato, morte e separazione da Dio per tutti gli uomini nel mondo.

La riconciliazione con Dio è possibile solo attraverso la morte di Gesù.

2 Corinzi 5:18-19; Romani 3:20.

La fedeFede significa riconoscere l’esistenza di Allah, sottomettersi a lui, esprimergli gratitudine e seguire i suoi precetti (preghiera, elemosina, eccetera).

Sura 2:177.

La fedeFede significa riconoscere il proprio stato di peccato e perdizione, accettare la redenzione di Gesù, e vivere nei comandamenti di Dio per mezzo della forza dello Spirito Santo.

Atti 9:1-18.

Jihad per il Regno di AllahLa Jihad è la “guerra santa” contro gli infedeli. L’Islam ha come scopo la conquista territoriale per instaurare un governo islamico con la sharia (legge coranica). L’islamizzazione si chiama “khilafah”. Evangelizzazione per il Regno di DioI discepoli hanno ricevuto il comandamento di andare per tutto il mondo a predicare il vangelo a ogni creatura, facendo miracoli e scacciando demoni, affinché chi lo riceve sia salvato.

Marco 16:15-18; Giovanni 3:16.

Gli infedeliIl Corano esorta a diffidare degli infedeli (compresi ebrei e cristiani) e a ucciderli.

Il seguente passo del Corano si presta facilmente al fanatismo dei gruppi terroristici islamici, come pretesto per la piccola jihad, la guerra santa contro i kafirun, gli infedeli: “Combattete coloro che non credono in Dio e nel Giorno Estremo, e che non ritengono illecito quel che Dio e il Suo Messaggero [Maometto] hanno dichiarato illecito, e coloro, fra quelli cui fu data la Scrittura, che non s’attengono alla Religione della Verità. Combatteteli finché non paghino il tributo uno per uno, umiliati.” (Sura della Coversione  “at-Taubah” IX, 29)

Sure 5:54; 47:4; 9:29,123,216.

Gli infedeli e i nemiciAmate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano, e pregate per quelli che vi maltrattano e che vi perseguitano.

Esodo 23:3-4; Matteo 5:44. Luca 6:27,35; Romani 12:14; 1 Pietro 3:9.

Il CoranoIl Corano è la Parola non falsificata e pura di Allah, una trascrizione fedele della rivelazione originale divina a Maometto.

(L’Antico e il Nuovo Testamento, invece, sono stati falsificati col tempo. Il Corano corregge l’Antico e il Nuovo Testamento là dove differiscono dalla Bibbia.)

Sure 2:2; 43:2-4.

La BibbiaLa Bibbia è la Parola affidabile di Dio.

Lo Spirito Santo ha vegliato sulla sua stesura. La Bibbia non ha bisogno di correzioni e rimane per sempre la Parola eternamente valida di Dio.

Apocalisse 22:18.

Dio e l’uomoDio ha creato l’uomo da un grumo di sangue.

Sura 96:1-2

Dio e l’uomoDio ha creato l’uomo per avere comunione con lui.

Egli desidera che sia salvato.

Apocalisse 19:7; Luca 14:23; Ezechiele 33:11; 1 Timoteo 2:4.

Allah creatoreAllah è il creatore del mondo e dell’uomo. Ma l’uomo non è stato creato a immagine di Dio.

Sure 55:1-7.

Dio creatoreDio ha creato l’universo e l’uomo a sua immagine e somiglianza. Egli rivela la sua essenza nella creazione.

Giovanni 1:14-15.

Allah non è PadreAllah non è il padre di Gesù, ma il Dio onnipotente e misericordioso.

Sura 9:30-31; 6:101-102.

Dio è PadreDio è Padre di Gesù Cristo e Padre dei suoi figli.

Marco 1:1; Giovanni 1:12; Romani 8:15-17; 1 Giovanni 3:1.

La Trinità è idolatriaLa venerazione di parecchi dei è il più grave peccato dell’Islam, perché c’è solo un unico Dio. (Il Corano accusa i cristiani di adorare tre dei: Dio, Gesù e Maria.)

Sura 4:171; 5:76.

La SantissimaTrinitàLa Trinità consiste nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E’ il cuore della fede cristiana.

Maria è un essere umano e non fa parte della Trinità. Va venerata, ma non adorata (si adora solo Dio).

Matteo 28:19; Galati 4:6.

Il nome di AllahIl nome Allah è formato dall’articolo “al” e dal sostantivo “Ilah”, e significa “il Dio”.

L’espressiône “Nome di Allah” si trova almeno 120 volte nel Corano. Allah ha molti altri nomi.

Il nome di DioDio si rivela a Mosè come “Io sono Colui che sono”.

Il Dio della Bibbia ha molti altri nomi.

Esodo 3:13-14.

Il dialogo con l’Islam può (ri)partire solo evitando la tentazione del pregiudizio. Il dialogo islamico cristiano ha subito un grave colpo l’11 settembre 2001. Ogni religione è portatrice di pace, ma purtroppo può anche essere ideologizzata e quindi politicizzata. Non cerchiamo il dialogo con i fanatici, ma con coloro che nell’Islam, e sono moltissimi, condividono con noi pacificamente la fede in unico Dio Padre di tutti.

Giorgio Nadali

www.giorgionadali.it